Intervista a Christian De Sica
La mostra- rassegna “I divi” non poteva che non essere inaugurata che da un anti-divo d’eccezione come Christian De Sica. .
”E’ sempre una festa venire qui a Napoli anche perché è l’unica città dove le persone ti salutano ancora con il “buongiorno” e non con un laconico “notte” o “giorno”. Mi sento imbarazzato a parlare di divi. In questa bellissima mostra ho visto le foto di molti attori che conoscevo da quando ero bambino. I nostri divi erano persone semplicissime, non era come in America che per parlare con uno di loro dovevi prima passare per agenti e segretarie. Quando volevo telefonare ad Alberto Sordi o a Peppino De Filippo componevo il loro numero telefonico e parlavo direttamente con loro. In Italia, adesso, i divi sono quelli che fanno i reality o i calciatori. Il divismo è finito negli Anni Cinquanta e nacque dopo la guerra perché ‘era la fame e la gente voleva sognare un mondo che non era la realtà. C’era un’ingenuità diversa da oggi.”
Inevitabile non chiedergli qualche aneddoto che riguarda suo padre, l’indimenticabile Vittorio.
“Il suo sogno era avere una casa a Marechiaro. Amava i napoletani perché diceva che sono veloci, che lo capivano a volo e che avevano la buona creanza. Una volta doveva girare a Napoli, in Via Roma, strada piena di ragazzini una scena di “Matrimonio all’italiana”. C’era una gran baraonda e non si riusciva a partire con il ciak. Allora lui perse il megafono e si rivolse ai presenti: “Sono Vittorio De Sica e devo girare una scena con Sofia Loren e Marcello Mastroianni. Avrei bisogno di due minuti di silenzio. Grazie.” Ci fu un silenzio tombale. Motore, ciak. Terminata la scena, la folla gli rispose all’unisono: “Prego”.
Christian si lascia volentieri andare indietro ai ricordi e successivamente, quasi tutto di un fiato, aggiunge:
“Ricordo che si trovava a Parigi e prima di morire accorsi da lui e gli raccontai che in televisione dovevo cantare “Munastero ‘e Santa Chiara”, canzone che lui stesso lanciò. Lui voleva darmi gli ultimi consigli ed a proposito della mia performance in TV mi suggerì: “Fatti dare un borsalino nero, mettiti sotto un lampione e fai come se leggessi una lettera. La prima parte della canzone falla recitata e poi cantata. E mi raccomando, ricordati di tenere a posto la braghetta. Non si può cantare “Monastero ‘e Santa Chiara con la braghetta aperta. Dopo la sua morte attraversammo dei periodi molto difficili da un punto di vista finanziario. Come è noto mio padre proveniva da una famiglia molto povera e lui manteneva più famiglie. E poi si sa, era un giocatore. Quando morì ci lasciò in una condizione economica difficile che resi pubblica in un intervista al settimanale “Oggi”. Nessun collega mi ha aiutato.. L’unico è stato Peppino De Filippo che in una lettera mi scrisse: “Ci sarà sempre per te un posto d’attore nella mia “Compagnia dei giovani”. Io gli telefonai per ringraziarlo e lo invitai a cena a casa di mio padre dove abitavamo. Peppino entrò e vide quella bella casa, ben arredata e di fronte a quel lusso mi disse: “Ma allora non è vero che economicamente stai messo male?” Fu allora che dovetti spiegargli che quel lusso era solo apparente e che eravamo costretti a vendere tutto quello che avevamo in casa.”
Sei stato spesso accusato di imitare lo stile recitativo di tuo padre
“Mio padre è un maestro, io sono un pittore della domenica. Non è vero che lo imito anche perché il mio modello è Sordi e come lui ho incarnato in tutti questi anni il ruolo dell’italiano imbroglione, del palazzinaro ed ho reso simpatiche dei personaggi tremendi mettendo in scena le loro debolezze.”
Come hai m osso i tuoi primi passi al cinema?
”Mio padre voleva che facessi l’università e mi diceva: “Va bene essere il numero uno ma è umiliante essere il numero due, il numero tre ed andare ad elemosinare di poter recitare.” Facemmo un patto che avrei provato per un anno. Quando avevo diciotto anni ero fidanzato con Isabella Rossellini e la torturavo chiedendole d farmi recitare con il papà ed una volta fui chiamato a fare una parte ne “La vita di Blaise Pascal. Da quel momento in poi le cose mi andarono bene e continuai.. Mio padre mi ha sempre insegnato un grande rispetto per gli addetti ai lavori e per tutti quelli che lavoravano nel cinema e mi diceva sempre: “Il nostro è un mestiere fatto sull’acqua”. Rossellini, invece, non amava gli attori e mi diceva continuamente: “Ma perché non te en vai ad Houston a studiare, perché non fai l’università?”
Hai qualche progetto nel cassetto?
“Sogno di fare un film che parli della storia d’amore tra mio padre e mia
madre e soprattutto di raccontare quando mio padre salvò trecento persone dalla
morte. Lui fu chiamato da Goebbels perché voleva che girasse un film per lui ma
mentì e gli disse che stava già lavorando ad un progetto cinematografico che si
chiamava “Il miracolo di Loreto”. In realtà era solo una scusa per scritturare
come comparse decine di intellettuali e di ebrei.
Articolo pubblicato su Corriere del Mezzogiorno - Redazione napoletana de Il Corriere della Sera - 9 Aprile 2006