Amore mio, ti uccido
“Bimba strangolata nella
culla. La madre fermata per omicidio.” Così titolavano giovedì 24 novembre
alcuni quotidiani nazionali nel riferire l’ennesimo delitto avvenuto all’interno
delle mura domestiche. Teatro di questa inspiegabile tragedia Tiene, un piccolo
paesino del Nord Italia dove in una notte, una madre, forse già sofferente
di disturbi psichiatrici, ha ucciso Matteo, il figlio di appena nove mesi. Lo
sconcerto è generale ed il risalto che la stampa da a questi omicidi allarma
ancor di più le coscienze di tutti. Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Mettiamo da parte Caino ed Abele. Dimentichiamoci di Edipo che ammazzò suo
padre e di Medea che, avendo scoperto il tradimento di Giasone, per punirlo,
uccise i figli che aveva avuti da lui. Tralasciamo Oreste, figlio di Agamennone
e di Clitennestra che uccise la madre ed il suo amante Egisto. Sotterriamo
nell’oblio la vicenda delle Danaidi, le cinquanta figlie di Danao, re d'Egitto
che (ad eccezione di Ipermnestra) per ordine del loro padre uccisero la notte di
nozze ognuna il proprio marito. I delitti all’interno delle mura domestiche
erano così all’ordine del giorno che i Greci credevano nell’esistenza delle
Erinni, divinità infernali alate, con i capelli di serpente e delle torce e
delle fruste alle mani che si vendicavano di chi uccideva un familiare,
torturandolo, con delle terribili visioni, fino a farlo impazzire. In quanto a
delitti in famiglia, i romani non erano da meno; il matricidio non era un reato
ma chi si macchiava di parricidio veniva chiuso in un sacco con una scimmia, un
serpente ed un gallo e poi buttato nel Tevere. Ma perché queste disgressioni sui
parricidi, matricidi ed infanticidi avvenuti nell’antichità? Al di la dei sempre
più recenti fatti di cronaca, occorre chiedersi quanti omicidi sono avvenuti in
questi anni, all’interno delle mura domestiche? I dati non sono molto omogenei e
non del tutto recenti; le ultime stime parlano di 228 delitti nel 2000,
223 nel 2002, 209 nel 2003 e 187 nel 2004. L’infanticidio, fenomeno, venuto alla
ribalta negli ultimi anni è compiuto, nella maggioranza dei casi da giovani
madri (tra i diciannove ed i trenta anni di età) e da padri la cui età varia tra
i quaranta ed i cinquanta anni. Le madri, generalmente, uccidono i loro bambini
(di un ‘età compresa tra i due ed i sei anni) per lo più per
soffocamento/strangolamento mentre i padri prediligono le armi da fuoco e
dirigono la loro carica distruttiva sui figli di età compresa tra i quindici ed
i trent’anni. Generalmente le madri che si macchiano di questi atroci delitti
soffrono di disturbi psichiatrici (depressione, depressione post-partum,
schizofrenia); i padri seppur affetti delle stesse patologie della madri hanno
molto spesso anche una lunga storia di alcolismo alle spalle. La strage
familiare (l’uccisione di due o più componenti del nucleo familiare) è di
appannaggio prevalentemente maschile e si conclude, spesso, con il suicidio
dello stesso genitore; le madri, invece, che si macchiano di questi efferati
delitti, raramente scelgono poi la modalità autolesiva. Per quanto riguarda gli
uxoricidi il numero di quelli ai danni delle moglie è nettamente maggiore
di quello dei mariti (nel 2004 su sessanta casi, quarantotto erano contro le
mogli e dodici contro i mariti). Il dato più interessante è che gli uxoricidi
avvengono per lo più tra coppie che sono sposate da anni e che convivono da
tempo insieme. Generalmente il marito agisce da solo e la moglie, nella
stragrande percentuali dei casi, si fa aiutare da un complice/amante di sesso
maschile. In questi ultimi venti anni sono aumentati numericamente sia i
parricidi che i matricidi. Generalmente il parricida rimane vittima del figlio
perché violento, irascibile, alcolizzato, responsabile di abusi sessuali, di
maltrattamenti o perché affetto da problematiche psichiatriche. L’identikit del
matricida è generalmente, un figlio che ha vissuto la madre, figura ambivalente,
amata ed odiata allo stesso tempo anche per la sua sordida e confusiva
seduttività. Il soggetto ha sviluppato negli anni un odio contro tutte le donne,
cova un’omosessualità latente e che, il più delle volte, dopo aver compiuto il
delitto si suicida. Un dato interessante è quello che rimanda a due
sottocategorie di omicidi; quelle dei mentitori (figli che mentono per tutta la
vita e che uccidono i genitori prima che le loro bugie vengano a galla) e quelle
dei libertari (soggetti che si sentono oppressi all’interno delle mura
domestiche e che uccidono i genitori per conquistare la tanto agognata libertà).
Al di là della crudezza dei dati e dei numeri citati quello che emerge con forza
è che, indipendentemente, dalla pena ad essi commutati, chi si macchia di questi
efferati delitti, resterà per sempre un dannato. Lo dimostrano le loro lettere
venate da una profonda tristezza e melanconia: “Sono molto stanca. Credo che non
valga più la pena di essere vissuta”,“Ho liberato i miei bambini. I bambini
vengono con me”, “L’ho ucciso perché fosse finalmente felice e non più
vittima.”,“Perdonami per quello che faccio; era il mio destino.”
Da