Videoclip, i corti come evoluzione della specie

 

Termina stasera la Rassegna di cortometraggi e videoclip “O curt”, presentata in questi giorni all’Istituto Grenoble, promossa dall’assessorato all’Ambiente e alle Politiche Giovanili del Comune di Napoli  ed organizzata dalla Mediateca Santa Sofia e da Pigrecoemme. Bruno Di Marino, autore dei volumi “Sguardo inconscio azione - Cinema sperimentale e underground a Roma” (Lithos- 2000) ed “ Interferenze dello sguardo” (Bulzoni - 2002) è uno dei massimi esperti del settore. “In questi ultimi anni abbiamo registrato una forte evoluzione dei videoclip. Innanzitutto, le nuove tecnologie digitali offrono la possibilità di impaginare un clip con effetti impensabili venti anni fa. Un esempio banale? I videoclip animati  si possono fare comodamente con dei software anche da casa. Ma al di là dell’abbattimento dei costi di produzione e di post-produzione, quello che salta agli occhi è che, in questi ultimi anni, i videoclip si sono sempre più resi autonomi dal cinema. Non siamo più, insomma, ai tempi della citazione obbligata, del verso che i registi facevano ai diversi generi cinematografici.” Michelangelo Antonioni, Martin Scorsese, Roman Polanski, Gabriele Salvatores, Carlo Mazzacurati, Carlo Verdone; sono questi alcuni dei registi famosi che si sono cimentati nel girare un videoclip. Eppure le loro opere non erano un granchè. I loro videoclip seguivano, infatti, meccanicamente, da un punto di vista narrativo, lo svolgimento di una storia con tanto di incipit, di evoluzione centrale e di climax finale. Una narrazione per lo più lineare e scolastica che rispettava, al massimo le regole classiche del racconto filmico. Da alcuni anni la svolta. Infrante ogni regole, abbandonate le traiettorie classiche del racconto, i videoclip si sono dotati di un linguaggio specifico e di un proprio statuto formale. E’ prevalsa l’anti-narrazione e lo sviluppo non lineare delle storie ma soprattutto le immagini sono state montate sempre più a scheggia, con un ritmo ancor più travolgente, serrato e sincopato e popolate da treni di colore, da brivido. “Se pensiamo al francese Michel Grondry, all’inglese Cris Cunningham ed all’americano Spike Jontze la critica internazionale unanimemente li considera dei veri e propri maestri del cinema. Di questi tre autori sono usciti da poco dei DVD antologici che raccolgono le loro opere. Registi come loro hanno elevato il videoclip da prodotto commerciale ad opera d’arte. Non a caso Cris Cunningham espone alla Biennale di Venezia. in Italia il suo ultimo videoclip sulla rockstar Bjorke. Ma anche in Italia ci difendiamo bene e c’è stata in questi ultimi anni una forte evoluzione e sullo schermo non compaiono più quei videoclip banali ed ingenui di un tempo. Non si possono non citare Morbioli (che ha fatto i videoclip per Biagio Antonacci, abilissimo nel montaggio e nella fotografia) e i fratelli Manetti che si sono, invece, specializzati in videoclip più narrativi e che hanno girato anche “ Zora la vampira”, l’unico film che ha prodotto Carlo Verdone.” Nel corso della chiacchierata, Bruno di Marino segnala anche quelle che, a suo dire, è una piccola contraddizione, in cui si dibatte oggi la fabbrica dei sogni.“Grazie all’abbattimento dei costi della produzione e della post-produzione, girare un videoclip costa all’incirca una ventina di milioni. Eppure il budget investito dall’industria cinematografica in questa forma d’arte è rimasta identica a quella di venti anni fa. Ma forse il vero problema è un altro. Non è facile girare un videoclip. Non a caso, l’età media dei registi oscilla intorno ai trentacinque anni, con punte in basso che arrivano anche a venti, venticinque anni. Bisogna saper parlare ai giovani, usare un linguaggio che faccia colpo su di loro, utilizzare le influenze che vengono da Internet e da altre forme di linguaggi visivi. Ai giorni d’oggi, un regista di sessant’anni non potrebbe ami girare un videoclip. Ma, forse, la rivoluzione più grande che è avvenuta in questi ultimi anni è stato il travaso del linguaggio del videoclip nel cinema. Questo scambio di linguaggi non è affatto da sottovalutare ed ha rilanciato, a mio parere, il cinema stesso.”

 

L'Articolo- Redazione napoletana del "L'Unità" - 03-10-2004