"Il
Venerdì " di Repubblica - 14.02.2003
“I
conflitti tra parenti? E' tutto un cinema”
di
Federica Lamberti Zanardi
Se fra vent'anni si vorrà
capire come era la famiglia nei primi anni del Duemila basterà guardare
Ricordati di me di Gabriele Muccino per ritrovare il senso di questo tempo.
Perché il cinema, come dicono i sociologi, è lo specchio di una società e ne
racconta i tic, le mode, le abitudini meglio di chiunque altro. E il microcosmo
familiare è un set ideale per poter analizzare le nevrosi, le ossessioni di una
generazione. Così di film che raccontano saghe e drammi di generazioni e figli è
piena la storia del cinema.
"Ci sono varie
rappresentazioni della famiglia. Quella assente di Taxi driver, per
esempio, dove il protagonista non dice nulla del suo vissuto familiare: come se
l'assenza di riferimenti personali fosse funzionale al desiderio inconscio dello
spettatore che i protagonisti potessero sopravvivere facendo a meno delle
proprie origini, spiega Ignazio Senatore, psichiatra dell'Università "Federico
II" di Napoli, che su cinema e psicoanalisi ha pubblicato due saggi (L'analista
in celluloide- La figura dello psicoterapeuta nel cinema- Franco Angeli e
"Curare con il cinema - Centro Scientifico Editore).
"C'è la famiglia
ridicolizzata di film come Parenti Serpenti o La famiglia Addams,
dove la funzione liberatoria risiede proprio nel poter sorridere di gruppi
familiari impossibili e sgangherati, rivalutando così la propria situazione
reale".
Quindi che sia assente o
terribilmente presente la famiglia ha il ruolo da protagonista in ogni film?
"In un certo senso sì, anche
se negli ultimi anni, soprattutto in Italia, più che sulla famiglia, il cinema
ha puntato l'attenzione sui conflitti della coppia", commenta Senatore.
"All'estero, invece, stiamo assistendo a una serie di pellicole che raccontano
una situazione nuova, multirazziale. In opere come Sognando Beckham
c'è la rappresentazione di una famiglia indiana con valori e abitudini
molto simili a quelli dell'Italia degli Anni Cinquanta. Come in Il mio grosso
grasso matrimonio greco, che racconta per filo e per segno i riti e le
relazioni delle comunità di immigrati ellenici negli Stati Uniti. Sono le
cinematografie più giovani ad avere la necessità di soffermare l'attenzione
sulle relazioni parentali, sui gruppi di cugini, fratelli, cognati. Perché,
spiega Senatore, più un regista è giovane, più è vicino, e quindi interessato,
alle dinamiche che nascono all'interno dei gruppi familiari. Non è un caso che
sia un regista come Muccino, un trentenne, a parlare oggi di crisi familiare. O
che siano registi indiani, turchi, greci a fare i film più divertenti e freschi
sull'argomento.Nel cinema anglosassone, invece, lo psichiatra ravvede una
tendenza nostalgica a raccontare la famiglia come era e come non può più essere.
Come in American beauty, dove Sam Mendez disegna il ritratto di una
società agonizzante ma ossessionata dall'american dream.Poi ci sono i film saga.
Come La famiglia di Ettore Scola, dove le vicende personali sono
l'espediente per narrare la storia di più generazioni. O Il padrino di
Francis Ford Coppola dove, attraverso gli amori, gli odi e i tradimenti della
famiglia Corleone si analizza l'evolversi della mafia d'oltreoceano.
Ma come è cambiato negli
anni il modo di raccontare la famiglia?
"Negli anni Sessanta il
cinema ha cercato di svelare l'ipocrisia di certe relazioni. Basti pensare a
Signori e Signore, Divorzio all'italiana, Sedotta e abbandonata di Pietro
Germi: capolavori di miserie umane. Poi, con il Sessantotto, c'è stato l'attacco
a tute le istituzioni e, quindi, anche alla famiglia. Ecco allora film come I
pugni in tasca di Marco Bellocchio. Negli anni Ottanta il cinema italiano
diventa più minimalista, "due camere e cucina", e la famiglia è raccontata in
modo agrodolce come in Mignon è partita di Francesca Archibugi.
E il cinema di oggi che tipo
di famiglia racconta?
"Molto variegata. Le
relazioni sono molto più complesse e frantumate; divorzi,primi e secondi
matrimoni. Ecco, quindi, quella scombinata de I Tenenbaum, dove ogni
componente è quasi un caso clinico o quelle ricomposte Nemiche-Amiche,
dove la prima e la seconda moglie si passano il testimone per amore dei bambini.
Ci sono situazioni che assumono significato diverso a seconda della cultura del
paese: il figlio trentenne di Tanguy, ben determinato a rimanere in casa
è uno scandalo: in Italia è assolutamente normale.
Ma alla fine il cinema
riesce a mettere sul tappeto i conflitti,le difficoltà della vita familiare?
"Il vero cinema è fatto di
sguardi: sono gli occhi dei protagonisti che comunicano le emozioni profonde.
Anche le relazioni familiari sono fatte di sguardi. Ad una madre basta
un'occhiata per dire molte cose al figlio. Me ne accorgo in terapia: attraverso
gli sguardi passano messaggi molto complessi. Ecco oggi nei film si parla tanto,
forse troppo. Ma mancano gli sguardi."