Napoli ed il cinema degli albori
Abadir, Acacia, Ausonia,
Cairoli, Corallo, Cristallo, Gloria, Imperiale, Italnapoli, Nuovo.Operativo,
Santa Lucia, Titanus, Tosca… sono queste solo alcune delle storiche e gloriose
sale cinematografiche cittadine chiuse in questi ultimi decenni. Un triste
primato per una città come Napoli che accolse con entusiasmo sul finire
dell’Ottocento la nascita della “settima arte”. Non tutti sanno che i primi film
dei fratelli Lumiere furono proiettati per la prima volta in città nell’aprile
del 1886 nel Salone Margherita, l’unico locale all’epoca consono ai gusti dei
dandies dell’epoca. Sull’onda di tale successo tre anni Mario Recanati aprì
la prima sala cinematografica
nella Galleria Umberto I. Nel giro di qualche anno seguirono la Sala Iride nel 1901, nel
1903 la Sala Troncone
al Corso Garibaldi ma il vero salto di qualità fu nel 1905 con l’inaugurazione
del Nuovo Cinematografo in Piazza Municipio che dopo qualche mese mutò il nome
in Salon Parisien. Nel 1907 le sale cinematografiche a Napoli il numero di
venti. Nel
1908, in Italia ci sono sette riviste specializzate di
cinema e sei sono pubblicate a Napoli. Nel 1911 su ventotto riviste
specializzate, undici sono prodotte a Napoli. Questi dati ci confermano con
quanto entusiasmo il cinema fu accolto a Napoli e del grande fermento culturale
che viveva al tempo la città. Ma il cinema muoveva ancora i primi passi e visto
che gli spettatori non resistevano a lungo dinanzi alle tremolanti immagini
proiettate sulla tela, alcuni esercenti pensarono di abbinare al film una serie
di supporti spettacolari dal vivo (numeri di varietà, cantanti, equilibristi,
fantasisti). Nacque il “caffè-chantant” che ebbe uno straordinario successo a
Napoli perché la canzone dialettale napoletana attraversava il suo periodo
d’oro. Contemporaneamente la sceneggiata, nata tra la fine del 1910 ed il 1920,
iniziò sempre più ad attirare l’attenzione degli spettatori. Il copione era
semplice; dei malavitosi che s’innamorano della stessa donna o che vanno in
galera per aver lavato l’onore offeso, qualche storia di infuocata passione ed
un paio di canzoni come sottofondo. Il procedimento adottato era quello di
organizzare “scene sulle canzoni”, inframmezzate da balletti. In quel tempo,
inoltre, una serie di scrittori di fama scrissero dei soggetti cinematografici:
Roberto Bracco (Nellina, Il perfetto
amore, Le due Marie, Sperduti nel buio, Il diritto di vivere) Matilde
Serao (La mia vita per la tua, La mano
tagliata, Torna a Surriento, Dopo il perdono, Cuore infermo) Salvatore Di
Giacomo (Assunta Spina, Il voto).
Intorno al 1919 che fu introdotta la “canzone drammatica”, detta di
“giacca” perché il cantante non appariva in pubblico con il frac ma appunto in
giacca ed i più grandi autori del genere furono Libero Bovio, E. A. Mario ed
Enzo Luciano Murolo. In quel fermento culturale canzone dialettale, sceneggiata
e cinema si fusero insieme e nel giro di pochi mesi i maggiori successi canori
delle Piedigrotta giungevano sullo schermo. Tra le varie pellicole prodotte da
segnalare ‘A Legge di Elvira e
Nicola Notari (1920) Si ve vulesse
bene di Emanuela Rotondi (1922) Un
cuore, un pugnale, un cervello di Charles Krauss (1922)
‘O schiaffo di Emanuele Rotondi
(1923) L’urdema canzone mia
di Fausto Correra (1923) Cor ‘e guappo
di Mario Negri (1925). Tra il 1924 ed il 1925 più di un terzo dei film
italiani è prodotto a Napoli.
Al regime fascista che vuole restaurare i fasti della Roma imperiale non può
piacere questa umanità stracciona. Nel 1920 una circolare dell’Ufficio che si
occupa della censura precisa che non verrà più concesso il nulla osta a quei
film che risultano indegni della bellezza di Napoli. Non saranno più tollerati
film con posteggiatori, scugnizzi, vicoli sporchi, gente dedicata al dolce far
niente.
“Sembra impossibile ! Che proprio non
si possa trattare argomenti popolari senza far vibrare il raggio obliquo della
malavita” scrive Emilio Pastore sulla Rivista torinese “La vita
cinematografica. Seriamente non vi
sembra, cari signori cinemato-folkroristici italiani, che sarebbe ora di finirla
di mostrare l’Italia e la mondo Napoli, regina del mare, incoronata dal fuoco,
ammantata di sole, adagiata sulla spuma delle onde, Napoli di cui ogni italiano
è fiero, di mostrarla, come la patria degli straccioni dei sudicioni, dei morti
di fame!Smettetela, signori miei, e se non avete niente altro da fare, andate a
suonare l’organetto per strada” (Alessando Blasetti) I film della
Notari venivano regolarmente stroncati. Un suo film
“Carcere”, ispirata alla
canzone di Libero Bovio fu censurato, accorciato ed il titolo mutato in
“Sotto San Francisco”. Lo
stesso Gennariello, figlio di Elvira Notari, in un’intervista afferma:
“Ormai al lotta con la censura era
quotidiana. Sopratutto una cosa dava fastidio, la “zumpata”, cioè il duello a
coltello tra i guappi, e questo mentre arrivavano dall’America il film western
con sparatorie e duelli al sole. Mia madre non riusciva a capire perchè dessero
fastidio a Napoli scene di duello che erano apprezzate e tollerate nei film
stranieri. Ma era così e non c’era niente da fare!” Dopo il crollo
del fascismo, Napoli, palcoscenico ideale dove ambientare drammi e passioni,
continuò ad essere una delle città più “gettonate” dal cinema italiano, fino a
diventare la patria dei “musicarelli” e di decine di commedie all’italiana.
Antonio Capuano, Mario Martone, Pappi Corsicato, Stefano Incerti ed Antonietta
De Lillo sono la più evidente testimonianza di quell’indissolubile rapporto che
lega anche ai giorni nostri Napoli ed il cinema.
La Voce della Campania
– Numero 6 – Giugno 2006
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