Dolore, lacrime e sospensione del tempo; il cinema e le malattie oncologiche


1. Introduzione
(...) Quando c'imbattiamo nelle pellicole la cui narrazione si snoda intorno al tema della malattia terminale, questo seriale e perfetto statuto narrativo è in qualche modo scardinato e stravolto perché terminano con l'inevitabile e drammatica morte del protagonista della vicenda. Scopo di questa relazione sarà quello di mostrare come la "fabbrica dei sogni" ha mostrato sullo schermo le varie fasi della malattia oncologica; dalla scoperta della malattia, alla rivelazione al paziente, all'exitus finale. 2. La comunicazione della malattia Come avviene nella vita reale, al cinema la scoperta del "male incurabile" avviene quasi sempre per caso e la "rivelazione" della malattia piomba sul protagonista della vicenda, come un fulmine a ciel sereno. Il cinema predilige di mostrare questo momento altamente emotivo, con sfumature diverse. Nella quasi totalità dei casi tocca al medico assumersi la responsabilità di una così delicata comunicazione. In "Nemiche amiche" la dottoressa si rivolgerà alla paziente e le dirà (...) Nello stesso film, la dottoressa si adopererà ad informare, in maniera dettagliata, la paziente sugli effetti collaterali associati alla cura farmacologica: (...) In "Voglia di tenerezza" il dottore cercherà, inizialmente, di rassicurare la paziente: Dottore: Lei ha nodulo sotto l'ascella, anzi ne ha due…Bisognerebbe toglierli ed esaminarli… Emma:   Ma io sono spaventata… Dottore: Se lei si spaventa, vorrà dire che sarà molto più felice quando saprà che non avrà più niente… Da questi brevi frammenti riportati, appare evidente come a differenza di altri operatori impegnati nella salute mentale (basti pensare alla svalutante immagine degli psicoterapeuti proposta del mondo della celluloide) la figura dell'oncologo venga rappresentata in positivo. (*) I medici appaiono tutti "comprensivi", dotati di alta umanità, capaci di contenere la sofferenza del paziente ed in grado di infondergli speranza e sicurezza. In tutte queste pellicole l'oncologo viene mostrato come un eroe tragico, "costretto", suo malgrado, a dover comunicare, in maniera secca e decisa, alle sue pazienti la gravità della diagnosi. (**) Nel film "Voglia di tenerezza", il dottore si limiterà a dire alla paziente: Dottore: Emma si è rilevato maligno Emma:   Me lo ripete? Dottore.  Maligno Altre pellicole, la cui trama narrativa si snoda sempre a partire da una malattia "incurabile", mostrano anche altre figure professionali protettive ed accoglienti. Ne "La voce dell'amore", una sensibile infermiera non mancherà di offrire dei suggerimenti alla paziente: (...) In altri film, la figura del medico è sullo sfondo o non compare affatto; in questi casi sarà lo stesso ammalato che avrà il "coraggio" di confessare alla persona cara il proprio male. In "Anonimo veneziano" l'uomo comunicherà così alla sua ex amata il suo ineludilbile destino (...) 3. Le reazioni del paziente Per non appesantire troppo il clima "mortifero" della stessa pellicola, i registi tendono a glissare e a scotomizzare le reazioni emotive dei pazienti. In "Love story", la protagonista femminile si rivolge al marito e gli dirà: (...) 4. L'exitus Nonostante il regista provi, come ad allentare la tensione procurata dall'imminente morte della protagonista, nella maggioranza dei film, lo spettatore assiste impotente alla lenta agonia della protagonista E quando si tratta di filmare gli ultimi momenti della vita del personaggio della vicenda, il regista opera generalmente una sorta di scotomizzazione della morte stessa, limitandosi a "narrare" (spesso con l'ausilio di una voce fuori campo o mediante il commento di uno dei protagonisti della vicenda) ed a "filtrare" l'avvenuto exitus della paziente. Di fronte ad un destino così crudele, i registi sembrano quindi di suggerirci che non c'è spazio né per le immagini, né per le parole. Altre volte (come accade in "Nick's movie - Lampi sull'acqua", "My life", "La voce dell'amore", "La stanza di Marvin", "Sussurri e grida", "Man on the moon", "Magnolia"…) la macchina da presa, "senza alcuna pietà", "indugia", " scava", "spoglia" le carni del protagonista della vicenda, fino a mostrarne la disgregrazione del corpo, la sua inesorabile e "mostruosa trasformazione". (***) Nel film "Scelta d'amore" (il cui titolo originale non a caso è "Dyning young"- "Il giovane morente") il regista mostra "addirittura" e "senza pietà" gli effetti collaterali dei farmaci chemioterapici, riprendendo il protagonista mentre vomita, trema, suda e si contorce dal dolore. In "Anonimo veneziano" il regista mostra l'inesorabile "declino" del protagonista, filmandolo quando assume la terapia orale ed intramuscolare e quando si poggia la mano sulla nuca, quasi per oggettivare il male incurabile che lo affligge. 5. Un segnale di speranza… Non sempre il cinema rappresenta il cancro come una malattia “incurabile”. Nell'indimenticabile film di Agnes Varda, "Cleo dalla 5 alle 7", la protagonista (Cleò) si aggira per Parigi mentre attende l'esito di un esame radiologico. Nel suo girovagare per Parigi, in attesa dell'esito delle analisi, incontra in un parco un soldato che tenta di abbordarla… (...)Medico: Il trattamento la stancherà un po', ma poi con un paio di mesi di raggi, guarirà. Cleò:     Mi sembra di non aver più paura, mi sembra di essere felice 6. Le cifre stilistiche Tra i vari generi cinematografici il melò è certamente uno dei codici iconografici e narrativi di sicuro successo. Volendo schematizzare potremo affermare che tale "genere" fa appello a dei sentimenti "popolari" e gioca sul contrasto spesso irriducibile tra la vita e la morte. Da tale premessa ne discende che in questi film i registi, attratti dall'incasso del botteghino, hanno spesso inondato le trame con artifici stilistici di sicuro effetto.  Come ricordano Orio Caldiron e Stefano della Casa (3):   "Ne "L'ultima neve di primavera" il bambino prima di morire vuole fare un ultimo giro sulla giostra.  In questa scena l'utilizzo della musica ad effetto è il più evidente dei dispositivi emozionali attivati, ma "funziona" soprattutto in relazione al senso di vuoto e di morte che promana dal Luna park deserto e dall'imprevista accensione di luci che si fa espressione cosmica della tragedia di una giovane vita che si spegne." In "Anonimo veneziano", ad esempio, per amplificare ulteriormente la tensione drammatica, il regista utilizza un'alternanza di scene dal contenuto drammatico e di flash-back gioiosi che rimandano all'amore tra i due protagonisti. Al di là di alcune cifre stilistiche care al cinema "strappalacrime" e di maniera (l'uso massiccio dei primi piani del protagonista, il rallenty e i flash back…) i registi fanno appello ad un uso massiccio della colonna sonora che amplifica i momenti più drammatici della vicenda. Non è forse un caso che pellicole come "Anonimo veneziano" o "Love story" siano ricordate più per il commento musicale che per la loro esile trama narrativa. Quello che colpisce, inoltre, in questi film è l'ambientazione tipicamente "borghese" di queste pellicole; le trame, infatti, si svolgono, infatti, per lo più, all'interno di ambienti lussuosi, luminosi e ben arredati e gli attori impegnati in queste pellicole (Meryl Streep, Debra Winger, Susan Sarandon, Ali Mac Graw, Tony Musante...) sono dotati tutti di un certo fascino e di un'indubbia bellezza. Le uniche pellicole che si discostano da questa rappresentazione melodrammatica della malattia neoplastica sono “L’amico americano” ed il successivo remake “Il gioco di Ripley”. In questi due splendidi film, il protagonista maschile è un corniciaio, afflitto da un male incurabile. Consapevole del suo triste destino, per garantire un futuro economico alla propria famiglia, prima di morire, accetterà di compiere un doppio delitto. 7. Conclusioni Come terminare questo mio viaggio sul tema, se non con un'ultima citazione  “cinematografica” di Gianni Canova (4)? "L'idea di partenza è doveroso riconoscerlo, viene dalla rilettura di un vecchio intervento di Italo Calvino. Sollecitato a riflettere sul patetico, Calvino ricordava quella pagina di Michele Strogoff in cui l'eroe di Julies Verne, catturato dai Tartari, viene condannato all'accecamento. Durante la tortura, prima che il fuoco gli bruci le pupille, Stogoff chiude gli occhi e piange. E proprio le lacrime formano sotto le palpebre una pellicola protettiva che salva l'eroe dalla cecità. La metafora, per chi la vuole intendere, è cristallina, e sembra fatta apposta per il popolo del cinema; le lacrime non ottundono lo sguardo, lo preservano. Non offuscano la vista, la salvano. Consentono, cioè di continuare a vedere ancora. (…) Ciò significa che la lacrima, in quanto effetto fruitivo, abbisogna contemporaneamente di un certo dispositivo testuale, sia di una certa soggettività che in quel dispositivo si esalta, dopo essersi persa e ritrovata in essa. (…) Di cosa piangiamo, se piangiamo, di fronte alle peripezie amorose e alle catastrofi cancerose di Ali Mac Graw e Ryan O'Neal? Piangiamo perché anche noi abbiamo vissuto (lo stiamo vivendo) la stessa esperienza dei protagonisti? O perché temiamo che quella stessa esperienza possa capitare anche a noi? O perché ci è già capitato e ne siamo usciti positivamente? O ancora, perché ci sentiamo colpevolmente privilegiati per non aver subito la stessa ingiustizia? O perché ci sentiamo indignati di fronte alla crudeltà della vita e alla malvagità della natura? Il nostro pianto, può essere, di volta in volta, protettivo, cautelativo, autopunitivo, consolatorio, catartico. Forse è tutte queste cose insieme, in un groviglio inestricabile di motivazioni che garantiscono per altro, tutte, un'ineguagliabile intensificazione delle nostre abituali esperienze emotive." (…) Per un paradosso il pianto è il sintomo di un soggetto che ritorna in sé dopo essersi spinto, fuori dal suo hic et nunc, verso l'altro da sé. In quanto espressione e veicolo della "tenerezza verso se stessi", il pianto ripara, per quel che è possibile, alla radicale mancanza di tenerezza mostrata dal mondo." (...)                                                




Stralcio dall'articolo   
"Dolore, lacrime e sospensione del tempo: il cinema e le malattie oncologiche" pubblicato su: "Giornale Italiano di Psico- Oncologia" N Gennaio- Giugno 2003 Volume 5.

 

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