Un cinema diverso per gente comune
Per Domenico Matteucci, se si passa in
rassegna la storia del cinema è impossibile trovare un racconto nel quale il
protagonista non sia sottoposto a qualche genere di sofferenza.
"Ciò è riconducibile alla struttura
stessa del racconto che per sua natura ha una struttura sadica. Per quanto
strano possa apparire è un boia,un torturatore che si rivolge ad un pubblico di
voyeurs ".
Sulla scia di queste provocatorie
affermazioni, che sento in parte di poter condividere, risulterebbe
comprensibile come il mondo della celluloide si sia occupato così diffusamente
dei temi legati alla sofferenza umana. Infatti sin dalla sua nascita, il cinema
si è interessato alle problematiche legate all'alienazione degli operai,
schiavizzati e ridotti ad automi dal potere narcotizzante delle macchine
("Metropolis", "Tempi moderni"),alle vittime delle discriminazioni politiche
("Il ragazzo dai capelli verdi"),alle persecuzioni razziali ("Il giardino dei
Finzi-Contini", "Indovina chi viene a cena ?").Al fianco di queste pellicole,
che si occupavano di temi di vasta portata politica-sociale, il cinema ha
mostrato di occuparsi anche degli aspetti più intimi e personali, legati
all'emarginazione e al disagio di singoli individui.
E' interessante notare, come un tempo,
alcune tematiche considerate "scottanti", non potevano essere rappresentate
sullo schermo. I produttori, infatti, temevano, da un lato, le reazioni del
pubblico e dall'altro ma soprattutto erano certi che queste tematiche non
avrebbero mai pagato in termini di incasso al botteghino. Sulla scia delle
grosse trasformazioni sociali avvenute in questi anni, oggi, registriamo non
solo un'inversione di tendenza ma assistiamo ad una vero e proprio exploit del
"cinema della crudeltà".
Nel giro di qualche anno, sono stati
prodotti, solo per fare qualche esempio, film sui narcolettici ("Belli e
dannati") sui disabili ("Il mio piede sinistro") sugli autisti ("La voce del
silenzio"…) sugli alcolisti ("Barfly", "I giorni del vino e delle rose, "Giorni
perduti"….) sui pazienti affetti da neoplasie ("Voglia di tenerezza", "Love
Story"...). Questi film legati a problematiche complesse e delicate, non solo
sono stati accolti favorevolmente dalla critica e dal pubblico, ma sono stati
addirittura premiati con dei premi Oscar ; basti pensare a "Figli di un Dio
minore", "Rain Man", "Philadelphia"…
Dopo queste premesse di rito,
desiderando addentrarmi più specificatamente sul tema della marginalità e della
devianza, vista la numerosa mole di film che si occupano di queste tematiche,
sarei tentato dal proporre una sorta di Bignami della storia del cinema. Attento
a non proporre una lettura segnatamente di stampo sociologico, ho raggruppato
per aree di interesse alcune pellicole, a mio parere, tra le più significative a
riguardo.
L'emarginato urbano
"I miei eroi sono sempre dei "perdenti",
perché sono sconfitti in anticipo, cosa che costituisce uno degli ingredienti
principali della tragedia. Da molto tempo si sono messi d'accordo con la morte e
la disfatta, per cui non gli resta nulla da perdere. Essi non hanno più
apparenze, né illusioni da salvare, e così rappresentano l'avventura
disinteressata, quella da cui non si trae alcun profitto al di là della semplice
soddisfazione d'essere ancora vivi. "
Queste affermazioni del grande regista
Sam Peckinpah descrivono perfettamente i sentimenti e le emozioni dei
protagonisti di queste pellicole.In questo primo gruppo collocherei quelle
pellicole ("Giovani, carini e disoccupati", "Once were warriors"), i cui
protagonisti sono dei clochard, dei diseredati, costretti a vivere nelle tristi
periferie suburbane o nelle allucinanti e desolanti metropoli, che vivono allo
sbando, incapaci di inserirsi nel tessuto produttivo della società I
protagonisti di queste pellicole, hanno tutti subìto, sin dalla loro infanzia,
ogni forma di violenza.
Nessun componente del loro gruppo
familiare d'origine, ha mai offerto loro riparo, né alcun sostegno e
contenimento emotivo. Soli, spaesati e senza radici, non riescono a trovare un
punto di riferimento a cui appoggiarsi; costretti a vivere in una società
regolata solo dalle leggi del profitto e della produttività, essi trascinano la
loro esistenza, accampati in squallidi alloggi ("Bad boy Bubby"),nei sotterranei
delle metropolitane ("Subway"),per strada ("Gli amanti di Pont Neuf") o in
squallide stazioni ferroviarie ("Verso Sud").
Senza lavoro, si arrabattano vivendo
alla giornata, compiendo dei piccoli furti o prostituendosi. Nessuno di loro
scappa dalle città in cui vivono, anche perché ogni tentativo di fuga sarebbe
inutile; restano lì, nell'inferno delle loro metropoli disumane o nei tristi
sobborghi dove sono nati, perché consapevoli che, per loro, non potrà esserci un
futuro migliore. A questi personaggi, che accettano passivamente il loro
destino, possiamo contrapporre altri "eroi" metropolitani, costretti ad
assorbire la violenza e il marciume della società nella quale vivono: essi
tendono a ribellarsi, come il protagonista di "Taxi driver", ma alla fine del
film, anch'essi saranno, di fatto, miseramente sconfitti.
Il folle
Il mondo del cinema è sempre stato
affascinato da chi è inghiottito nel vortice della follia. Già nel 1919,nel
celebre "Il gabinetto del dottor Caligari" compariva un personaggio che altri
non era che un folle che fingeva di essere il direttore di manicomio.
Nel
Va sottolineato come alcuni registi, pur
mostrando di solito un grande rispetto e compassione per chi è affetto dal
disagio mentale, ha spesso utilizzato la figura del folle, come un comodo
espediente per confezionare pellicole seriali e ripetitive o per chiudere una
storia già traballante e priva di originalità.
Altri cineasti, affascinati dagli
aspetti romantici della pazzia, hanno invece mostrato un atteggiamento molto
critico, nei confronti di chi è deputato alla cura ed all'assistenza di chi è
afflitto da disturbi psichiatrici. Nel mio recente volume "L'analista in
celluloide" ho sottolineato, infatti, come in numerose pellicole il mondo del
cinema mette, noi psicoterapeuti, alla berlina Per fortuna, due recenti film
("Senza pelle" e "Colpo di luna") hanno fatto giustizia di questo luogo comune e
ci aiutano a chiarire le difficoltà che incontriamo nel comprendere il mondo
sconosciuto della follia.
L'omosessuale
Il mondo del cinema, fino ad alcuni anni
fa, vittima della censura di stampo reazionario e clericale, non poteva
occuparsi delle tematiche legate al mondo di chi veniva considerato, come il
"diverso", per antonomasia. La figura dell'omosessuale poteva comparire sullo
schermo solo in alcune pellicole commerciali e a basso costo, descritto come una
macchietta che doveva indurre nello spettatore solo compassione o ilarità. Le
sole pellicole che lasciavano trasparire la complessità del suo mondo erano di
appannaggio di alcuni Maestri del Cinema (Visconti e Pasolini) e di pochi altri
coraggiosi registi.
Nel corso degli anni, parallelamente al
crollo di assurdi pregiudizi, cineasti e sceneggiatori hanno intrapreso a
descriverlo, senza mai scadere in patetici luoghi comuni. "Prick-up", "Gli
occhiali d'oro", "Banchetto di nozze", "Maurice", "Il prete", "Wittgenstein","
Una giornata particolare", "L'uomo di cenere"... sono alcuni di questi film che
ci presentano, con ironia e delicatezza, il mondo complesso e variegato di chi
non viene più considerato dalla società, come un malato da curare o come un
individuo da condannare per le sue scelte sessuali.
Il transessuale
Anche se appare innegabile che questo
fenomeno ha assunto una notevole rilevanza a partire dal finire degli anni
ottanta è pur vero che la cultura borghese dominante non poteva permettere che
sullo schermo comparissero pellicole che si occupassero di questi "inquietanti"
soggetti. Al massimo, il cinema poteva affrontare un fenomeno molto più limitato
ed innocente come quello del travestimento, inserendolo in contesti comici e
grotteschi (A qualcuno piace caldo...) o collocato in atmosfere con chiare
valenze negative ("Vestito per uccidere") per sottolineare che questi individui,
altri non erano che psicopatici, responsabili di atroci delitti. Caduti i tabù
moralisti, proprio in questi ultimi quattro, cinque anni assistiamo ad una
proliferazione di pellicole che trattano in maniera specifica delle
problematiche del transessuale, offrendoci la possibilità di comprendere il suo
mondo, a partire da angolazioni diverse. In alcuni film è una figura a margine
della storia ("Padre e figlio"),in altri è utilizzato solo a fini commerciali e
di cassetta ("Belle al bar"); in altri diviene l'assoluto protagonista o di un
solo episodio ("Libera") o del film ("Mery per sempre"," M. Butterfly", "La
moglie del soldato"). I registi, con delicatezza e senza clamori, non li
giudicano per la loro scelta, così drammaticamente irreversibile e senza
condannarli mostrano di rispettare chi ha coraggiosamente ha deciso di liberare
il proprio corpo, dalla schiavitù di una virilità che non l'appartiene.
La prostituta
Su questo tema la cinematografia
internazionale ha dedicato intere pagine della sua storia. Sulla scia delle
trasformazioni sociali, chi si prostituisce non è più visto come un rifiuto
della società. Sullo schermo, timidamente, fanno la loro comparsa personaggi,
meno drammatici e sfortunati, non più vittime di "protettori" senza scrupoli, ma
soggetti che consapevolmente scelgono di dedicarsi al più antico mestiere del
mondo. Ai melodrammi strappalacrime si sostituiscono storie a lieto fine come "Pretty
woman" o pellicole come "Un uomo da marciapiede" e "American Gigolò", che
affrontano, senza falsi pudori, le problematiche legate alla prostituzione
maschile. Non mancano i crudi resoconti come quello offertoci in "Whore-Puttana",
né le storie a sorpresa come "In cerca di Mr Goodbar", dove la protagonista
conduce una doppia ed insospettata vita; di giorno è una dolce maestrina e la
notte si aggira per i locali notturni adescando giovani clienti.
Il tossicomane
Questo filone largamente utilizzato
verso gli anni settanta sembra non affascinare come prima i produttori
cinematografici. Se in passato occupavano lo schermo pellicole come "Trash",
"Cristiana F: la ragazza dello zoo di Berlino", "Cocaina"... da un paio di anni
questa tematica sembra essere stata quasi del tutto trascurata.
Conclusione
Passati in rassegna alcuni dei film che
lambiscono i territori cari alla marginalità ed alla devianza, mi si potrebbe
obiettare che, per fortuna, esistono ancora in circolazione registi che
ritengono che la funzione della settima arte debba essere principalmente quella
della pura evasione e dell'intrattenimento. A chi preferisce quei bei film,
ambientati in lussuose ville con piscina, lontano dai clamori del mondo e delle
sue contraddizioni, vorrei dare un solo consiglio: prima di andare al cinema
correte a comprarvi una sveglia; potrebbe esservi utile, una volta terminato il
film, per destarvi dal mondo dei sogni.
Articolo pubblicato sulla Rivista "D.I.S"- Rivista di scienza e arte della salute - Anno III. Numero IV- (Novembre Dicembre) - 1995