Chinese Box (Chinese box)

di Wayne Wang con Jeremy Irons, Gong Li, Michael Hui, Maggie Cheung - USA- 1997 – Durata  116’

 

John (Jeremy Irons) giornalista inglese che da anni risiede ad Hong–Kong è innamorato di Vivian (Gong Li) un’angelica prostituta che lavora in un karaoke bar. Ma lei non ricambia il suo affetto e sogna che Chang (Michael Hui) un ricco uomo d’affari la sposi. Mentre è al ristorante con gli amici, John sbianca, ha dei capogiri e sviene. Si sottopone allora a degli accertamenti clinici ed il medico gli diagnostica una forma rara di leucemia ed un aspettativa di vita che non supera i sei mesi. John è tentato di rivelare a tutti la propria malattia ma poi decide di custodire dentro di sé il proprio dolore. Nel girovagare come un sonnambulo per la città incontra Jean (Maggie Cheung) una prostituta alla quale chiede, dietro pagamento, di raccontargli la sua vita. Vivian finisce tra le braccia di John ma il male, inesorabile, lo divora.

Il film si apre la notte di San Silvestro del 1996 e si chiude il 30 giugno 1997, giorno della fine del protettorato inglese e l’automatico passaggio di Hong–Kong alla Cina Popolare. Questa scelta del regista, non affatto casuale, fa da sfondo alla tragica vicenda del protagonista che, per stordire il proprio dolore, si lascia trascinare dall’inderogabile bisogno di filmare e documentare la febbrile incertezza che regnava ad Hong-kong in quei giorni. Il gioco delle scatole cinesi, presente nel titolo del film, è palesemente disertato e neanche l’ingresso in campo di Jean imprime alcuna accelerazione alla vicenda. La malattia pugnala alle spalle Joe che a se stesso, confessa: “Una settimana fa volevo fare una cosa sola; raccontare tutto a Vivian ma ora mi sono reso conto che è l’unica cosa che non devo fare. Non devo opprimere lei, Jim o chiunque altro mi sta a cuore con la mia malattia. La dignità è tutto quello che mi rimane. Non voglio che lo sguardo dei miei amici mi ricordi che sto morendo.” Tranne questo raro momento di riflessione il protagonista s’aggira per Kong-Kong come un pugile suonato, privo di palpiti e di emozioni. Non convince l’entrata in scena di Jean ed è troppo sdolcinata la love-story finale tra John e la sua amata Vivian. A rendere ancora più esangue e noiosa la pellicola il viso immobile e di cera di uno spento Irons. Sceneggiato da quel genio di Jean-Claude Carrière. Tratto da un romanzo di Paul Théroux.

 

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