Il capitale umano di Paolo Virzì

 

Alla vigilia di Natale un ciclista é travolto da un Suv in piena notte. E mentre la polizia indaga, esplodono le vite di due famiglie; quella dei Bernaschi, famiglia ricca ed altolocata e quella dei modesti Ossola, unite insieme dalla precaria liason dei loro figli adolescenti; la tenera e volitiva Serena ed il fragile e disarmante Alessandro.

Dimenticatevi il Virzì toscano che ironizzava sui foruncolosi disagi di Piero, adolescente sbalestrato di Ovosodo, quartiere popolare livornese, l’ironico regista che mette in scena le rocambolesche vicissitudini di Mario, ristoratore senza il becco di un quattrino di Baci e Abbracci, quello che vola negli States per mostrarci  le dis-avventure a stelle e strisce del  protagonista di My name is Tanino, il cantore di Marta e di tutti i precari senza futuro di Tutta la vita davanti e finanche il romantico e disincantato cineasta di Tutti i santi giorni che narra di Guido ed Antonia, giovane coppia alla disperata ricerca di coronare il proprio sogno di mettere al mondo un bebè.

Con questo film che segna il passaggio alla sua definitiva maturità artistica, Virzì mescola sapientemente il thriller allo scavo psicologico e compone quello che, senza ombre di smentite, può essere considerato il suo capolavoro.

Il capitale umano è, infatti, un thriller con venature noir. magnetico ed ipnotico, dal chiaro respiro europeo che ci ricorda (non a caso) le inquietudini e le torbide e malsane atmosfere di provincia che furono care a Claude Chabrol.

Fedele ad uno dei temi a lui più cari, (l’incontro/scontro tra due diverse classi sociali) Virzì lima le feroci ed ironiche contrapposizioni già presenti in Ferie d’agosto e contrappone Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), modesto immobiliarista in bolletta a Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), cinico, freddo e calcolatore finanziere d’assalto.

Come Giancarlo, il velleitario maestro protagonista di Caterina va in città che, trasferitosi nella Capitale, sogna di far parte degli intellettuali che contano, anche Dino è ossessionato dall’idea di dover scalare posizioni sociali e di poter sedere un giorno, in occasione dell’annuale e sontuosa cerimonia di premiazione cittadina, allo stesso tavolo dei Bernaschi.

Accecato dall’idea di poter sfruttare l’amicizia con Giovanni e di pter fare il colpo della vita, gli affida l’ingente somma di denaro, tenendo all’oscuro Roberta (Valeria Golino), silenziosa e passiva mogliettina in dolce attesa.

In questo continuo scivolamento tra illusioni e delusioni, tra fallimenti e sogni improvvisamente tirati fuori dai cassetti, non gli è da meno Carla (Valeria Bruni Tedeschi), moglie vuota ed insoddisfatta di Giovanni, un tempo attrice dilettante, che, per provare a dare un senso alla sua piatta esistenza, prova a convincere il marito a restaurare il Politeama, fatiscente e cadente teatro cittadino e, nella speranza di dar vita ad una stagione di prosa, allaccia una tempestosa relazione con un tormentato professore di Storia del Teatro (Luigi Lo Cascio).

Come per Dino, anche i suoi sogni si vanificheranno di fronte alla dura, spietata e cinica realtà e mentre Giovanni, con glaciale indifferenza, non si farà nessuno scrupolo, pur di ripianare un buco milionario, l’unica che sembra salvarsi da questo convulso, spietato e nevrotico affannarsi è Serena (Matilde Gioli) che, sul finale, stufa di Alessandro (Giovanni Anzaldo), ricco ma fragile fidanzatino, incontrerà un dark, spiantato ed incasinato (Guglielmo Pinelli), in cura da Roberta presso il DSM, che le regalerà una ragione per vivere.

Laddove ce ne fosse ancora bisogno Il capitale umano consolida ancor più la convinzione che ciò che caratterizza un buon film non è solo su una potente ricerca visiva ma anche (e soprattutto) una solida e coesa sceneggiatura, retta da dialoghi ben calibrati. Coadiuvato in sede di sceneggiatura da Francesco Piccolo e Francesco Bruni, il regista toscano saggiamente s’affida (per la prima volta in carriera) ad un romanzo: The human capital di Stephen Amidon ed ambienta la vicenda dal Connecticut alle nebbiose atmosfere della provincia brianzola.

Ma il vero punto di forza del film è quello di rileggere parte della storia da tre angolazioni diverse; la prima con gli occhi di Dino, la successiva con quella di Carla e l’ultima con quella di Serena.

Non siamo dalle parti di Rashomon, di Sliding doors, né de La commare secca ma di fronte ad una suggestiva ed originale ricerca narrativa che mostra un loop che si avvolge e che si dipana all’indietro e che ci fa ri-vedere alcune sequenze, già mostrate in precedenza, con sguardi diversi (e non opposti) della stessa vicenda. Un film che fa da spartiacque alla carriera di Virzì e che trasforma un (bravo) regista in un Autore.

Impreziosiscono la pellicola un’avvolgente colonna sonora (firmata da Carlo, fratello del regista) ed un cast d’eccezione; Valeria Bruni Tedeschi perfetta nei panni della vacua moglie ricca e borghese, Fabrizio Gifuni convincente in quelli del gelido uomo d’affari e Fabrizio Bentivoglio in quelli del becero e rampante arrampicatore sociale. Chiudono il cerchio gli intensi Luigi Lo Cascio e Valeria Golino e gli incisivi Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli e Giovanni Anzaldo.

 

 Recensione pubblicata su Segno Cinema N. 183- 2014

 

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