Il capitale umano
Alla vigilia di Natale un ciclista é travolto da
un Suv in piena notte. E mentre la polizia indaga, esplodono le vite di due
famiglie; quella dei Bernaschi, famiglia ricca ed altolocata e quella dei
modesti Ossola, unite insieme dalla precaria liason dei loro figli adolescenti;
la tenera e volitiva Serena ed il fragile e disarmante Alessandro.
Dimenticatevi il Virzì toscano che ironizzava
sui foruncolosi disagi di Piero, adolescente sbalestrato di
Ovosodo, quartiere popolare
livornese, l’ironico regista che mette in scena le rocambolesche vicissitudini
di Mario, ristoratore senza il becco di un quattrino di
Baci e Abbracci, quello che vola
negli States per mostrarci le
dis-avventure a stelle e strisce del
protagonista di My name is
Tanino, il cantore di Marta e di tutti i precari senza futuro di
Tutta la vita davanti e finanche il
romantico e disincantato cineasta di
Tutti i santi giorni che narra di Guido ed Antonia, giovane coppia alla
disperata ricerca di coronare il proprio sogno di mettere al mondo un bebè.
Con questo film che segna il passaggio alla sua
definitiva maturità artistica, Virzì mescola sapientemente il thriller allo
scavo psicologico e compone quello che, senza ombre di smentite, può essere
considerato il suo capolavoro.
Il capitale umano
è, infatti, un thriller con venature noir. magnetico ed ipnotico, dal chiaro
respiro europeo che ci ricorda (non a caso) le inquietudini e le torbide e
malsane atmosfere di provincia che furono care a Claude Chabrol.
Fedele ad uno dei temi a lui più cari,
(l’incontro/scontro tra due diverse classi sociali) Virzì lima le feroci ed
ironiche contrapposizioni già presenti in
Ferie d’agosto e contrappone Dino Ossola (Fabrizio Bentivoglio), modesto
immobiliarista in bolletta a Giovanni Bernaschi (Fabrizio Gifuni), cinico,
freddo e calcolatore finanziere d’assalto.
Come Giancarlo, il velleitario maestro
protagonista di Caterina va in città
che, trasferitosi nella Capitale, sogna di far parte degli intellettuali che
contano, anche Dino è ossessionato dall’idea di dover scalare posizioni sociali
e di poter sedere un giorno, in occasione dell’annuale e sontuosa cerimonia di
premiazione cittadina, allo stesso tavolo dei Bernaschi.
Accecato dall’idea di poter sfruttare l’amicizia
con Giovanni e di pter fare il colpo della vita, gli affida l’ingente somma di
denaro, tenendo all’oscuro Roberta (Valeria Golino), silenziosa e passiva
mogliettina in dolce attesa.
In questo continuo scivolamento tra illusioni e
delusioni, tra fallimenti e sogni improvvisamente tirati fuori dai cassetti, non
gli è da meno Carla (Valeria Bruni Tedeschi), moglie vuota ed insoddisfatta di
Giovanni, un tempo attrice dilettante, che, per provare a dare un senso alla sua
piatta esistenza, prova a convincere il marito a restaurare il Politeama,
fatiscente e cadente teatro cittadino e, nella speranza di dar vita ad una
stagione di prosa, allaccia una tempestosa relazione con un tormentato
professore di Storia del Teatro (Luigi Lo Cascio).
Come per Dino, anche i suoi sogni si
vanificheranno di fronte alla dura, spietata e cinica realtà e mentre Giovanni,
con glaciale indifferenza, non si farà nessuno scrupolo, pur di ripianare un
buco milionario, l’unica che sembra salvarsi da questo convulso, spietato e
nevrotico affannarsi è Serena (Matilde Gioli) che, sul finale, stufa di
Alessandro (Giovanni Anzaldo), ricco ma fragile fidanzatino, incontrerà un dark,
spiantato ed incasinato (Guglielmo Pinelli), in cura da Roberta presso il DSM,
che le regalerà una ragione per vivere.
Laddove ce ne fosse ancora bisogno
Il capitale umano consolida ancor più la convinzione che ciò che
caratterizza un buon film non è solo su una potente ricerca visiva ma anche (e
soprattutto) una solida e coesa sceneggiatura, retta da dialoghi ben calibrati.
Coadiuvato in sede di sceneggiatura da Francesco Piccolo e Francesco Bruni, il
regista toscano saggiamente s’affida (per la prima volta in carriera) ad un
romanzo: The human capital di Stephen
Amidon ed ambienta la vicenda dal Connecticut alle nebbiose atmosfere della
provincia brianzola.
Ma il vero punto di forza del film è quello di
rileggere parte della storia da tre angolazioni diverse; la prima con gli occhi
di Dino, la successiva con quella di Carla e l’ultima con quella di Serena.
Non siamo dalle parti di
Rashomon, di
Sliding doors, né de
La commare secca ma di fronte ad una
suggestiva ed originale ricerca narrativa che mostra un loop che si avvolge e
che si dipana all’indietro e che ci fa ri-vedere alcune sequenze, già mostrate
in precedenza, con sguardi diversi (e non opposti) della stessa vicenda. Un film
che fa da spartiacque alla carriera di Virzì e che trasforma un (bravo) regista
in un Autore.
Impreziosiscono la pellicola un’avvolgente
colonna sonora (firmata da Carlo, fratello del regista) ed un cast d’eccezione;
Valeria Bruni Tedeschi perfetta nei panni della vacua moglie ricca e borghese,
Fabrizio Gifuni convincente in quelli del gelido uomo d’affari e Fabrizio
Bentivoglio in quelli del becero e rampante arrampicatore sociale. Chiudono il
cerchio gli intensi Luigi Lo Cascio e Valeria Golino e gli incisivi Matilde
Gioli, Guglielmo Pinelli e Giovanni Anzaldo.