Intervista a Mimmo Calopresti

 

Per Artaud “il cinema deve mostrare la pelle delle cose, il derma della realtà”. Mimmo Calpopresti con il suo ultimo film-documentario “Volevo solo vivere” non si limita a mostrare la superficie della realtà ma la scava dall’interno, la gratta, la scortica fino a penetrare negli abissi dell’anima umana.  Venerdì sera al Grenoble, all’interno de “L’arte della felicità”, rassegna ideata da Luciano Stella, il regista calabrese ha presentato per la prima volta a Napoli il suo ultimo film uscito nella sale a fine gennaio in Italia  per la 01 Distribuzione. La pellicola raccoglie le testimonianze degli italiani sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz e Calopesti sceglie di narrare l’irraccontabile con discrezione, mettendosi in disparte, lasciando che le storie degli intervistati, intense e toccanti, scavino nel cuore dello spettatore.

La Shoah Foundation Institute fondata da Steven Spielberg mi ha messo a disposizione il materiale di repertorio ed ho visionato successivamente altre testimonianze all’Archivio di Stato. Auschwitz mi ossessionava da quando andavo a scuola da bambino e più che raccontare la Shoah da un punto di vista storico ho voluto permettere loro di raccontarsi anche a nome di quei milioni di persone che non essendo ritornati a casa non avrebbero mai potuto narrare la propria esperienza. Ho scelto di intervistare gli italiani sopravvissuti all’orrore di Auschwitz perché non sono così sicuro che queste cose non possono più accadere nel futuro.”

I titoli dei tuoi film sono stati spesso giudicati troppo retorici. Quest’ultimo come nasce?

“Mi sembra che “Volevo solo vivere” sia un titolo sincero e spontaneo che parte dalla constatazione che tutti gli intervistati, in un momento della loro vita, sono stati travolti dalla follia più totale dei nazisti e deportati in un campo di sterminio. Ognuno di loro non chiedeva altro che una cosa banale; “voler solo vivere” e questa elementare constatazione ha ispirato il titolo del film.”

Nanni Moretti interprete de “La seconda volta”, il tuo film d’esordio, con il suo “Il caimano” s’interroga sul futuro dell’Italia. Tu confezioni, invece, una pellicola che si rivolge al passato e che si apre con un pezzo di repertorio che mostra Benito Mussolini a Trieste che tiene davanti ad un’oceanica folla plaudente un delirante discorso sull’antisemitismo.

“Credo che nel cinema il tempo non esista ed elimini sempre tutto. Al cinema una storia è sempre attuale perché racconta la vita degli individui e questo dato rende di per sé ogni film sempre politico.”

Ne “La parola amore esiste” hai interpretato la parte di uno psicoanalista nevrotico e distante.

“Quella fu una scelta. Dovevo fare lo psicoanalista antipatico e credo di essere riuscito a trasmettere quella sensazione.”

Come ci si trova a vivere la doppia parte di attore e di regista dei film che dirigi?

“Faccio l’attore perché  voglio farmi passare addosso il film. Il film è un’esperienza di vita. Il cinema è come una cucina; bisogna mettere insieme diversi ingredienti per sapere cucinare un piatto.”

Stai lavorando ad un nuovo progetto?

“Voglio tornare al Sud e raccontare di quella stagione della vita dove i ragazzi sognano di cambiare il proprio futuro. Il Sud è il luogo della speranza, il territorio dove le cose succedono e non succedono e dove continua ancora ad esistere in maniera più forte che altrove questo modo di desiderare, di sognare un futuro un po’ cialtrone. E’ tutto ancora in alto mare e l’unica cosa che so è che il mio amico Depardieu farà una particina nel film.”

A rendere ancora più toccante la proiezione di “Volevo solo vivere” le testimonianze di Andra e Tatiana Bucci, due italiane deportate ad Auschwitz rispettivamente all’età di quattro e sei anni e sopravvissute al campo di sterminio nazista e quella di Mario De Simone, napoletano, che ha raccontato la tragica morte di suo fratello Sergio.

“Mio fratello aveva solo sette anni. Era così leggero che quando lo impiccarono un soldato tedesco dovette appendersi al suo corpo per farlo morire.”

 

Corriere del Mezzogiorno - Redazione napoletana de Il Corriere della Sera - 29 Marzo 2006

 

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