The butcher boy

di Neil Jordan con Stephen Rea, Eamonn Owens, Alan Boyle, Andrew Fullerton, Fiona Shaw - Irlanda – 1997 – Durata 106’

 

Il dodicenne Francie Brady (Emmon Owens), ribelle ed allergico ad ogni tipo di regole, vive con il padre (Stephen Rea) un alcolista cronico, un tempo talentuoso suonatore di tromba, e la madre (Aisling O'Sullivan), una donna affetta da gravi disturbi mentali. Per stordire la solitudine e la mancanza d’affetto, Francie trascorre le giornate con Joe (Alan Boyle), inseparabile compagno di giochi, tormentando e dando filo da torcere al timido Phillip Nuggent (Andrew Fullerton). Sua madre peggiora, é ricoverata in manicomio e Francie, dopo l’ennesima scenata del padre, scappa di casa. Al rientro scopre che la madre si è suicidata, annegandosi sul fiume accanto al manicomio; per il dolore il padre sprofonda ancora più nell’alcol ed a Francie non resta che sfogare la propria rabbia, imbrattando i muri dell’appartamento dei Nuggent con la scritta “pig”. Per punizione è mandato in un collegio dove è oggetto di molestie sessuali da parte dell’anziano padre Sullivan ed i preti, per soffocare lo scandalo, lo rispediscono in un lampo a casa. Francie trova un impiego come garzone nel negozio di un macellaio e, pur prendendosi cura del padre che, perennemente sbronzo, trascorre le giornate immobile su una poltrona, imperterrito, continua a perseguitare i Nuggent. Ricoverato in una clinica per malattie mentali è sottoposto ad ESK-terapia e quando è dimesso scopre che Joe, il suo amico idealizzato, stufo delle sue intemperanze e dei suoi colpi di testa, ha legato con l’odiato Philipp. Convinto che la signora Nuggent (Fiona Shaw) muova i fili di una congiura ai suoi danni, Francie la decapita. Ricoverato in manicomio è dimesso alcuni anni dopo e, mezzo rintontito, ritorna al paese.

Jordan ambienta la vicenda nei primi anni Sessanta nella piccola contea irlandese di Brady e lascia che l’ossessione per lo scoppio della bomba atomica, la guerra fredda e la paura dell’avanzata del comunismo facciano da sfondo alla vicenda. Il tono è sarcastico e scanzonato, i dialoghi sferzanti e per tutto il film assistiamo alle peripezie di Francie, piccola peste, che non potendo contare sull’amore dei propri genitori, individua nei Nuggent la famiglia sui cui scaricare le proprie delusioni e frustrazioni. Il regista non dona a Francie un minimo di pentimento per l’atroce delitto commesso e lo descrive come un ragazzo simpatico, spavaldo, dalla battuta facile, incapace di leggersi dentro e di comprendere le conseguenze delle azioni di cui si macchia. Per spezzare la narrazione il regista ci regala qualche frammento dal sapore favolistico ed ogni qual volta la realtà intorno a Francie diventa indigeribile allucina la Madonna e scambia con lei quattro chiacchiere. Jordan mescola black humour alla dissacrante ironia, tipica di un vecchio free cinema inglese e, sin dalle prime battute, ci regala qualche scambio frizzante. Francie confida a Joe che la madre ha avuto un esaurimento nervoso e che è stata ricoverata in manicomio. Senza scomporsi il suo giovane amico, per tirarlo su, gli risponde: “E’ come quando si rompe l’auto; arriva il carro attrezzi e ti porta in officina.“  La voce fuori campo di un narratore accompagna l’intera vicenda e Jordan, pur senza impaginare una pellicola dal taglio sociale, non risparmia un duro amaro attacco contro la famiglia, la Chiesa e le istituzioni psichiatriche. Da un romanzo di Patrick McCabe, che veste i panni dell’ubriacone del paese.

 

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