Attenti al buffone

 

di Alberto Bevilacqua con Nino Manfredi, Mariangela Melato, Eli Wallach, Giuseppe Maffioli – Italia – 1975 – Durata 110’ – V.M 14

 

Al ritorno da una tournee, Marcello Ferrari (Nino Manfredi), un violinista timido ed ingenuo, scopre che sua moglie Giulia (Mariangela Melato) è andata a vivere con i suoi due bambini Luca e Marianna dal suo amante Cesare (Eli Wallach) un tipaccio burbero, e scontroso, soprannominato Ras, per i suoi famigerati trascorsi nelle colonie italiane degli Anni Trenta. L’uomo ricco e potente, per tenere in piedi i suoi traffici,  ama circondarsi da uno stuolo di  persone altolocate, corrotte e senza scrupolo. Consapevole di avergli sottratto tutti gli affetti Cesare decide di rimborsare economicamente Marcello ed ordina ai suoi servitori di condurlo, a forza, nella propria villa. Marcello rifiuta la sua vantaggiosissima offerta economica e, dopo aver sfidato il suo gretto e rivale con le armi della dialettica, si trasferisce in una mansarda della sua villa poi aderisce passivamente ad ogni sua richiesta al punto da  dichiarare di essere affetto, da anni, da una grave forma d’impotenza, pur di ottenere l’annullamento del matrimonio dalla Sacra Rota e permettere che Giulia e Cesare si sposino in chiesa. Nel corso di un incontro a luci rosse con i vecchi camerati dei tempi andati Cesare chiede a Giulia di andare a letto con loro; lei è incinta, si rifiuta di assecondare le sue insane voglie e dopo essere stata selvaggiamente picchiata, perde il bambino. Arriva il fatidico giorno del matrimonio e Marcello ha il compito di suonare in chiesa la marcia nuziale ma, improvvisamente, si ribella e lascia che il silenzio sommerga la cerimonia. Di fronte al suo atto d’insubordinazione Cesare inizia a sconnettere e Gulia si allontana dalla chiesa, sfilandosi il velo.

Bevilacqua impagina un film pretestuoso ed inconsistente che gronda di retorica e di intellettualismo a buon mercato. I personaggi che appaiono sulla scena girano a vuoto, in preda ad un inconcludente tormento cerebrale. Per tutta la durata del film Marcello non urla, non graffia, non strepita e, mantenendo una calma serafica, cita Einstein, Spinosa ed Il Cantico delle Creature. Giulia, immobile come una statua di sale, si limita ad osservare i due uomini che si punzecchiano tra di loro e si scambiano frecciatine velenose. Solo dopo le insistenti pressioni del marito confessa che non l’ha mai amato e che l’odio che nutre per Cesare la fa sentire, stranamente, viva. La sceneggiatura scricchiola e Bevilacqua lancia strali contro tutto e tutti ed affonda i colpi contro il mercato dei matrimoni annullati dalla Sacra Rota, affidando a Padre Calducci (Giuseppe Maffioli) un graffiante e velenoso commento: “Speravamo che il mondo del potere e della corruzione s’inginocchiasse davanti alla Chiesa ed invece ci troviamo noi inginocchiati davanti al mondo”. Nel film tutto è eccedente come il gatto soriano di Marcello che si chiama Wolfango Amedeo ed ama ascoltare Mozart. Nel cast Enzo Cannavale nei panni di Lolò, suonatore amico di Marcello, Francisco Rabal e Mario Scaccia. David (1976) per la migliore sceneggiatura ad Alberto Bevilacqua e Nino Manfredi.

 

 

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