Arsenico, pallottole, lame taglienti ed un rivolo di sangue: il cinema ed i delitti all'interno delle mura domestiche

 

 Mettiamo da parte Caino ed Abele, dimentichiamoci di Edipo e di Medea, tralasciamo Oreste, figlio di Agamennone e di Clitennestra che, ritornato a Micene, ammazzò la madre ed il suo amante Egisto. Sotterriamo nell’oblio la vicenda delle Danaidi, le cinquanta figlie di Danao, re d’Egitto che (ad eccezione di Ipermnestra) per ordine del loro padre uccisero la notte di nozze ognuna il proprio marito. Che i delitti all’interno delle mura domestiche fossero all’ordine del giorno lo dimostra il dato che i Greci credevano nell’esistenza delle Erinni, divinità infernali alate con i capelli di serpente e delle torce e delle fruste alle mani che si vendicavano di chi uccideva un familiare, torturandolo, con delle terribili visioni, fino a farlo impazzire. I Romani fedeli a questa credenza le denominarono le Furie. Il cinema è fatto di fuoco, di ardore, di emozioni vive e pulsanti che non si spengono al minimo soffio di vento. Cappelli calati sugli occhi, gocce di sudore che imperlano la fronte del protagonista, sigarette che sprigionano nuvole di fumo, sberle prese in piena faccia, cadaveri sforacchiati dai proiettili, lame fiammeggianti che splendono nel buio delle notte; c’è tutto questo nei gialli, nei thriller, nei polizieschi, nei noir. Al di là della sua spettacolare carica drammaturgica il crimine, sin dal cinema degli albori, ha sedotto milioni di spettatori. Specchio fedele della realtà, il cinema non poteva non mettere in scena i drammi e gli orrori che si compiono all’interno delle mura domestiche. Qualche cineasta si è mostrato indulgente ed ha fornito degli alibi o delle giustificazioni per coloro che si macchiavano di questi atroci delitti. E se qualcuno si è limitato a mostrare freddamente lo svolgersi degli eventi, altri, invece, hanno preso le distanze emotive da chi, privo di scrupolo e di umanità, recideva la vita di un proprio familiare. Da un punto di vista stilistico, c’è chi sceglie il fuori campo e giocando sul contrasto tra luci ed ombre lascia allo spettatore la possibilità di immaginare lo svolgersi del delitto; altri, prediligono un tocco più cruento e sanguinolento e filmano, con dei primi piani alternati, il volto allucinato del folle ed il corpo martoriato della povera vittima.

La relazione che proporrò (accompagnata da un collage cinematografico della durata di dieci minuti) non tratterà di madri ciniche e spietate, di pazzi criminali assetati di vendetta ma di creature disperate, vittime di un destino crudele o diventate assassine per (troppo?) amore.

 a) Figli che uccidono

 Se Pier Paolo Pasolini ha proposto con il suo Edipo re la fedele trasposizione cinematografica  dell’immortale mito greco, nel rileggere quello di Oreste, Antonio Capuano nel suo Luna rossa ha preferito ambientare la vicenda ai giorni nostri. I Cammarano sono una famiglia di camorristi che gestisce i loro loschi affari, calpestando ogni regola del vivere civile. Assetati di potere, iniziano a dilaniarsi tra loro. Oreste, l'ultimo rampollo della dinastia, finirà per vendicare la morte del padre ed ucciderà la madre (Lucia Maglietta) che da anni è amante di Egidio (Antonino Iuorio) un giovane camorrista senza scrupoli..

Il terrore della sesta luna  narra, invece, di una gigantesca astronave che atterra. in un boschetto dell’Iowa sotto gli occhi esterrefatti di tre adolescenti. Si scopre che una strana creatura aliena (piatta, romboidale e con un tentacolo che funge da sonda) s’inserisce dietro la nuca degli esseri umani e, dopo essere penetrato nel cervello, ne azzera la memoria e l’identità. Andrew Nivens (Donald Sutherland) e suo figlio Sam (Eric Thal) agenti speciali dei Servizi di Sicurezza americani, accorrono sul posto. Come prevedibile Andrew riuscirà a liberare il pianeta ma rimarrà vittima delle forze aliena. E sarà allora che Sam sarà costretto a ucciderlo.

Questi tre film rimandano in qualche modo al destino ineluttabile che colpisce i protagonisti. Diverso è il clima che si respira in Bad boy Bubby. Bubby (Nicholas Hope) (...) 

b) Figli che uccidono più componenti del nucleo familiare

 In Roberto Succo il protagonista e Roberto (Stefano Cassetti) un giovane ventenne condannato a dieci anni da scontare in un manicomio criminale per aver ammazzato il padre e la madre.. Dopo cinque anni esce per buona condotta ed è libero di scorazzare per la Costa Azzurra alla guida di una decappottabile. Roberto vive di piccoli furti , di piccoli espedienti ed uccide, senza alcun motivo apparente, chiunque gli capiti  tiro. Braccato dalla polizia, si rifugia in Italia dove è arrestato; terminerà i suoi giorni suicidandosi in carcere con una busta di plastica, prima di essere processato. Ne Il manuale del giovane avvelenatore il quattordicenne Graham (Hugh O'Connor) un allampato adolescente londinese, trascorre il suo tempo a divorare libri di chimica. Appassionato cultore della materia, Graham si cimenta tra ampolle ed alambicchi, con scarsi risultati. Per vendicarsi delle angherie subite dai suoi genitori, decide di utilizzare tutto il suo sapere in una direzione decisamente criminale. Provetto infermiere somministra loro, quotidianamente, con cura e dedizione, le sue velenose pozioni a base d’antimonio e di tallio. A farne le spese è dapprima Molly, la sua odiata matrigna (che, dopo aver perso tutti i capelli, morirà lentamente tra atroci dolori e sofferenze) ed infine, suo padre. Scoperto, è internato in un manicomio giudiziario dove si suiciderà. Ne I pugni in tasca , Alessandro (Lou Castel) è un giovane epilettico, fragile e tormentato mentalmente, in perenne competizione con Augusto, suo fratello maggiore. E quando decide di “rimettere ordine” all’interno del suo gruppo familiare, getta prima la madre cieca da un dirupo, successivamente, uccide Leone, un fratello ritardato. (...)

c) Genitori che uccidono

Medea, uno dei film più intensi di Pier Paolo Pisolini, narra le tragiche vicende della figlia di Eete, re della Colchide che avendo scoperto il tradimento di Giasone, per punirlo, uccise i figli che aveva avuti da lui.  Rischiose abitudini è, invece, una gustosa pellicola che narra di Lilly Dillon (Angelica Huston) una donna che scommette ai corse dei cavalli, per conto della mafia. Suo figlio Roy (John Cusack) non le è da meno e se la cava rifilando piccoli bidoni a destra. Lilly vuole uscire dal giro e prova a fare le scarpe a Bobo Justus (Pat Hingle) il suo boss ma le cose non vanno per il verso giusto e lei è costretta a filarsela di gran carriera. Va a casa di suo figlio, trafuga tutti i suoi soldi ma il destino è in agguato; Roy la scopre, lei prova a  scappare ed, involontariamente, lo uccide.(...)

d) Fratelli che uccidono i fratelli 

Fratelli ed Inseparabili sono, invece, due pellicole sovrapponibili per il tragico epilogo della vicenda. Nel primo il ventiduenne Johhny Tempio (Vincent Gallo) è ucciso in circostanze misteriose e la sua famiglia, in odore di mafia, affranta e disperata, si lacera per la sua scomparsa. Ray (Cristopher Walken) il fratello maggiore, messi da parte affetti ed emozioni, cerca con tutti i mezzi di scoprire mandante ed esecutore. Cesarino (Chris Penn) l’altro fratello di Johnny, s’aggira per il dolore come un’ombra per casa e dopo aver ammazzato Ray, si suiciderà con un colpo di pistola alla bocca. In Inseparabili Elliot e Beverley Mantle (Jeremy Irons) sono due ginecologi gemelli, simili a due gocce d’acqua. I loro caratteri sono però completante diversi; Elliot è un impenitente donnaiolo e Beverley un soggetto chiuso, timido ed  introverso. Entrambi si innamoreranno di Claire, un’attrice un po’ eccentrica e disinibita che, assorbita dagli impegni di lavoro, sparirà poi dalla scena. Beverley, smarrito, si lancia a capofitto nella droga ed allucina che il corpo delle donne si sta man mano trasformando al suo interno; per stargli vicino Elliot, inizia anche lui ad assumere delle sostanze. In un finale tragico Beverley uccide, con uno degli strumenti chirurgici, Elliot e poi si suicida. Entrambi le pellicole testimoniano che ogni qual volta si instaura un legame forte e fusionale con un proprio familiare; la morte o la follia dell’uno, spingerà nel baratro anche l’altro.(...)

Conclusioni

(...) Scorrendo i film citati appare evidente che la mia scelta non è ricaduta su quelle pellicola che mostrano dei sanguinari serial killer o dei soggetti affetti da gravi tendenze psicopatiche ed antisociali, ma su quei soggetti “normali” che fino al momento del crimine conducevano per lo più una vita  relativamente tranquilla, privi di una carriera psichiatrica alle spalle. (...) Credo che un’affermazione di Marco Bellocchio sintetizzi meglio l’idea che mi ha guidato in questa relazione:

“E’ chiaro che una persona folle ha perso il rapporto con la realtà sociale. Ma esistono molti livelli di follia. A ne interessa la follia normale; che mi è ancora più familiare, che si manifesta nella sofferenza, nell’infelicità. Questo folle molto comune, dominato dall’angoscia, per conservare una certa normalità sociale (è terrorizzato di perderla) si controlla, si reprime, diventa razionale. E’ appunto l’uomo razionale e non ci può essere la fantasia inconscia in un soggetto simile. Dove domina la paura non c’è la bellezza. Se ho un rapporto con te, nel momento in cui mi agito, mi angoscio, immediatamente creo una barriera, il nostro rapporto diventa più formale, più esteriore, l’angoscia uccide un rapporto, lo paralizza, impedisce il desiderio. La possibilità di un rapporto affettivo con una donna pretende un minimo di sanità mentale e poi di fantasia per andare oltre la bellezza.”

 

Stralcio dalla relazione pubblicata sugli Atti del Convegno "Delitti in famiglia" - Manicomio di Aversa - 2006

 

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