"Grazia" N.
17. 28- Aprile 1996
"Arriva la
cineterapia"
di Tiziana
Abate
"Depressione? Fatevi una no stop di "La vita è meravigliosa". Insonnia? Buttate il Tavor e affittate "Tutto in una notte".Problemi sessuali? Guardatevi "Nove settimane e mezzo". Ansia? Quel che fa per voi non è il Prozac, ma una videocassetta di "Alien". Che di cinema ci si possa ammalare è noto, come dimostrano schiere di esangui cinefili avvolti nell'eskimo anche a Ferragosto, incapaci di sopravvivere un giorno senza una dose di Bergman o Kustirica. Ma adesso di cinema ci si può anche guarire. Parola di Gary Solomon, psicoterapeuta americano, scopritore del valore taumaturgico dei film.
Lo ha sperimentato prima su se stesso, quando adolescente frustrato ed insicuro e con problemi di apprendimento scolastico, è riuscito a superare le sue difficoltà calandosi nel buio di una sala cinematografica. Passo successivo: la scoperta che un buon film era efficace anche come un appuntamento galante. "Invece del solito invito a cena, portavo la mia compagna al cinema per poi parlarne insieme. Venivano a galla cose che mesi di dialogo non sarebbero bastati a rivelare." Quindi la laurea e la pratica psicoterapeutica.
E la decisione di prescrivere film anche ai pazienti. Risultato: straordinario, almeno a suo dire. Perché? Semplice. Oltre ad intrattenere, il cinema riesce spesso a farci riflettere, a farci piangere o ridere e a mettere a fuoco molte altre emozioni. "Hollywood ha confezionato a sua insaputa storie terapeutiche per anni. E tutti noi ne abbiamo approfittato senza saperlo, assicura Solomon. Perché non codificare allora la scoperta in un manuale con precise istruzioni per l'uso?
E' nato così "The motion picture prescription" (traduzione approssimativa: ricette cinematografiche), sottotitolo "Guardi questo film e mi chiami domani" mattina. Vi sono elencate duecento pellicole, ognuna con il suo bravo riassunto e i temi terapeutici per i quali è indicata. Qualche esempio? "Kramer contro Kramer" è prefetto per chi si trova a dover affrontare l'eventualità del divorzio, "Sul lago dorato" per chi ha difficoltà ad accettare la vecchiaia, "Il mattino dopo" per chi ha problemi d'alcolismo.
Ma tutto aiuta,anche i titoli più improbabili. "All that jazz" è l'ideale per chi rifiuta la realtà, "Il grande freddo" per chi deve imparare a perdonare, "La leggenda del re pescatore" per chi subisce una perdita importante. Ci sono poi film multiuso: "Turista per caso" è indicato sia per problemi generici di dipendenza che di negazione, di morte, divorzio, famiglia e di relazione. "Il mago di Oz" è consigliabile tanto in caso di abbandono quanto di droghe o di disturbi mentali ed emozionali. "Gente comune" va bene indifferentemente quando si deve elaborare un lutto, accettare una verità difficile o reagire ad abusi psicologici. E via di questo passo. Parente stretto di una certa manualistica "made in USA" da bricolge dell'anima (non a caso Solomon esercita in Oregon, lo stato che ha raccolto l'eredità dei figli dei fiori), il volumetto campionario di atrocità consumate all'ombra del moloch del video tritatutto. "Tutti noi conosciamo l'espressione "Un quadro vale mille parole".
Quanto pensare che possa valere, allora un film? "Trilioni di parole", si chiede serafico Solomon. Per proseguire "Quanti giorni impiegate per leggere un libro? Quando invece vedete un film, in due ore assimilate quello che leggendo impieghereste settimane ad assorbire." Non che il rapporto tra il grande schermo e psicoanalisi sia una novità. Da Bergman a Hitchcock, a Fellini e al suo grande sponsor Woody Allen, che però ne parla ( o meglio sparla) da paziente, i richiami più o meno espliciti si sprecano.
"Ma da qui a ritenere che una videocassetta possa sostituire un'analista ce ne corre", dice Ignazio Senatore, psichiatra napoletano, autore di "L'analista in celluloide" appena ristampato da Franco Angeli. "La funzione primaria del terapeuta è proprio quella dell'accudimento psicologico, ovvero di guida delle emozioni che possono venire allo scoperto. E l'efficacia della cura consiste in gran parte nell'atmosfera instaurata tra analista e paziente, che non può essere certo sostituito dallo schermo." E si spinge a citare anche il gran maestro:
"Anche Freud doveva "supervisionare" un film, "I misteri di un anima" ma lasciò cader l'invito perchè "il cinema non avrebbe mai potuto rappresentare figurativamente l'inconscio".
Difesa d'ufficio? "Per carità. Ben vengano i film che parlano degli analisti anche se tendono a rappresentarli come dei mezzi matti ("Lo strizzacervelli") o come dei pazzi completi ("Il silenzio degli innocenti"). Meglio comunque psicoanalisti strapazzati dal cinema presi troppo sul serio, tipo dei Giucas Casella dell'anima."
Ma Solomon è talmente entusiasta da ritenere che il suo esempio verrà seguito da altri terapisti, ai quali non lesina le raccomandazioni (sopratutto occhio alle dosi, perché più di tre film alla settimana possono creare problemi di intossicazione). E, per aiutarli, chiude il manuale con un ricettario-tipo. Come in quelli tradizionali, c'è uno spazio bianco per la data ed il nome del paziente. E al posto di quelli riservati ai medicinali, c'è ne è uno per i film da vedere entro il prossimo appuntamento. Una ricetta da presentare non in farmacia ma nel negozio di video più vicino a casa.