“Alexander” di Oliver Stone- USA – 2005

 

Per Raimond Queneau “l'assedio e il ritorno sono le due forme archetipiche della vita. Ogni grande opera è un Iliade o un'Odissea. Le iliadi sono ricerche del tempo perduto; le odissee sono racconti di tempi pieni."

Oliver Stone, con il suo colossal “Alexander”, biopic sul famoso condottiero macedone, intreccia le due forme più antiche del racconto e narra le gesta del mitico figlio (di Zeus, di Dioniso?) di Filippo (Val Kilmer). Lo scomodo regista americano, dopo aver proposto la sua personale ri-lettura della vita di Nixon e di J.F.K, ci mostra le battaglie vinte dal giovane Alessandro (Colin Farrell) ed il suo instancabile peregrinare alla conquista del mondo.

Come l’Ulisse omerico, anche Alessandro scappa inconsciamente da qualcosa. La sua ossessione (edipica) è sua madre Olimpia (Angiolina Jolie), una donna bellissima, perfida ed astuta che gli traccia il destino e lo educa agli intrighi di corte.

“Mia madre mi credeva divino; mio padre debole. Chi sono io?” si chiede, nel corso del film, il giovane condottiero. Fragile affettivamente, Alessandro scopre di essere un pallido riflesso del cuore della madre e trova rifugio solo nelle braccia del suo amato Efestione (Jared Leto).

Dopo aver sconfitto Dario e conquistata la Persia, Alessandro si spinge sempre più ad Oriente fino a raggiungere l’India e l’Asia Minore. La morte lo trafiggerà all’età di trentadue anni. Ma al di là della (fedele?) ricostruzione storica quello che non convince è l’intero impianto narrativo che appare ipertrofico e ridondante e fa il paio con la colonna sonora di Vangelis, sparata a palla per tutta la durata del film.

Anthony Hopkins nelle vesti del narratore e Raz Degan, nel ruolo dello sconfitto re Dario. Di grande presa visiva le scene delle battaglie, splendida la scelta cromatica (virata in rosso) sul finale del film. Stone paragona Alessandro a Prometeo e lo descrive come un sovrano illuminato che si battè per unificare l’oriente e l’occidente, i greci con i barbari. Sarà… ma come non sottoscrivere quanto affermò Jean Cocteau: “Ho sempre preferito la Mitologia alla storia. La Storia è fatta di verità che diventano menzogne, la Mitologia di menzogne che diventano realtà.”

 

Recensione pubblicata su L'Articolo- Redazione napoletana del "L'Unità" - 23-01-2005

 

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