L'albero delle pere
di Francesca Archibugi con
Niccolò Senni, Valeria Golino, Sergio Rubini, Stefano Dionisi Francesca Di
Giovanni – Italia - 1998 – Durata
Il quattordicenne Siddharta (Niccolò Senni) studente in un liceo di Roma vive a Roma con sua madre Silvia (Valeria Golino) e con la piccola Domitilla (Francesca Di Giovanni) una bambina di quattro anni nata dalla relazione di Silvia con Roberto (Stefano Dionisi). Un giorno Domitilla si punge con la siringa della madre tossicodipendente ed allora Siddharta, senza coinvolgere nessun familiare, si batte come un leone per sottoporre la piccola a degli accertamenti clinici per scongiurare il pericolo che si sia potuta ammalare di AIDS. Nel suo girovagare raminga per la città, Silvia muore, schiantandosi con l’auto contro un tram e Siddharta si ritrova ancora più solo.
Alla sua sesta pellicola Archibugi impagina una pellicola lenta, prolissa e pretestuosa. La trama è inesistente e la macchina da presa insegue (inutilmente) i protagonisti della vicenda che, privi di emozioni e di soffio vitale, si muovono sullo schermo come burattini senza fili. Archibugi prova a condire la pellicola con troppi temi (tossicomania, infanzia deprivata ed abbandonata, lo sfaldamento della famiglia borghese, la solitudine dei protagonisti…) ma dimentica di renderli appetibili. Al di là delle buone intenzioni la regista non riesce a dare credibilità ai personaggi che, implosi nel loro piccolo mondo, compaiono sulla scena senza mai aderire all’altro. Archibugi si limita a mostrarci, con oggettiva artificialità, uno smarrito Siddharta che, come un uccellino in gabbia sbatte inutilmente le ali contro l’insensibile mondo degli adulti. Senza un attimo di esitazione e colto da una sorta di randagismo esistenziale, Siddharta scarrozza testardamente con la sorellina per tutta Roma senza chiedere un sostegno o il conforto di un amico, né di suo padre Massimo (Sergio Rubini) un regista nevrotico e fallito o di Roberto, un uomo senza qualità.
Dopo aver sottolineato l’impossibilità del dialogo intergenerazionale, la regista descrive Silvia come una donna insoddisfatta e tormentata ma la sua sofferenza non commuove e non si comprende cosa l’abbia spinta a cadere nel vortice tossicomanico. Nel film tutto è eccedente al punto che il cane che compare sulla scena si chiama Ozu, come il grande cineasta asiatico. Osella d'oro per la fotografia (Luca Bigazzi) e premio Marcello Mastroianni a Niccolò Senni alla Mostra di Venezia 1998.