Intervista a Stefano Accorsi
Un amore, seppur intenso e passionale,
cattura il lettore solo se incontra degli ostacoli insormontabili. Shakespeare
ne sapeva qualcosa ed il suo “Giulietta e Romeo” ne è la più fulgida conferma.
Presentato fuori concorso all’ultimo
Festival di Venezia, “L’amore ritrovato” è un film semplice ed elementare.
Tratto dal romanzo “Una relazione” di Carlo Cassola, narra di Giovanni (Stefano
Accorsi) e Maria (Maya Sansa). I due amanti si ritrovano dopo anni e
“dimentichi” del fatto che l’uomo è sposato ed è padre di un bambino di un anno,
danno vita ad una tormentata vicenda amorosa. Gli ingredienti per il grande
feuilletton ci sono tutti ma ciononostante il film non ti prende, non ti assale
anche perché, manco a dirlo, i due amanti non trovano ostacoli sul loro cammino.
Eppure si sa, al tempo (siamo nella metà degli Anni Trenta) l’adulterio era
considerato un reato e per questo si perdeva la faccia ed il lavoro.
Stefano Accorsi, con il suo sorriso un
po’ ironico e beffardo, difende a spada tratta il film.
“Anche se girato in costume, questa
storia è molto attuale. Quello che mi piace di questo film è che il protagonista
non ha un eccesso di coscienza, cosa che non è sempre buona e che può spesso
limitare i personaggi. Giovanni e Maria
vivono questa storia d’amore per quello che sono e non vivono nel timore
di dover comprendere a tutti i costi l’altro. Giovanni è un personaggio che non
ho sentito mai lontano ma verso il quale ho provato molta tenerezza. Lui vive
l’adulterio con grande serenità. Vuole tutto; la famiglia, il lavoro e l’amante.
“
L’uso ossessivo e maniacale dei primi
piani dei protagonisti, è a suo dire, una scelta stilistica ben precisa voluta
dal regista.
“Mazzacurati voleva stare con i
protagonisti della vicenda, come volesse entrare nella loro intimità. Piuttosto
che fare il “solito” film sull’amore con il ritmo incalzante, Carlo ha scelto
una scrittura più libera e raccolta. Il sesso poi è uno dei motori principali
della storia e Giovanni, sin dal primo incontro, cerca di instaurare con Maria
soprattutto un amore fisico. Quando si incontrano sulla spiaggia le parla del
costume che indossava un tempo, le fa le prime avances e la porta a letto.
L’amore per i due protagonisti è vissuto come clandestino e non come pura
istintualità e per questo motivo le scene di sesso sono state riprese in un
luogo appartato e lontano da sguardi indiscreti. Mazzacurati ha scelto di
raccontare questa storia più con i silenzi. Era lì che ci proteggeva e ci
sentivamo tutti co-autori del film. Questo film lo trovo ipnotico. Rispetto al
romanzo, Carlo ha introdotto qualche novità. Intanto i nomi dei personaggi
principali erano invertiti (Mario e Giovanna) ed il personaggio femminile era
più datato, più disperato e finito. Nel romanzo Giovanna era una donna vinta,
rimaneva da sola con una figlia e veniva sconfitta. Il romanzo è stata una
scoperta di Donatella Botti, la produttrice del film che ne ha comprato i
diritti quattro o cinque anni fa. Lo abbiamo letto e riletto varie volte, c’è
stato un rapporto molto intenso. Era bello svegliarsi la mattina ed andare sul
set.“
Il film ha un taglio calligrafico e da
fotoromanzo d’epoca e, stranamente, il regista utilizza uno strano melange di
inserti. La prima scena si apre con la solita canzonetta degli Anni Trenta ma
con il brano “Le passanti” di Fabrizio De Andrè, canzone scritta dal cantautore
genovese nel 1974, cover di un vecchio brano di Georges Brassens. Mazzacurati
inserisce, poi, un paio di sequenze, in bianco e nero, tratte da “La signora di
tutti” diretto da Max Ophuls nel 1934.
Per l'intervista completa si rimanda al volume "Psycho cult" di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)