“Il segreto di Vera Drake” di Mike Leigh – 2004
I Festival sono tutti uguali. Anche a Sanremo, la Kermesse della canzonetta italica (si sa) non vince sempre il migliore. L’ultimo Festival del Cinema di Venezia ha coronato “La storia di Vera Drake”, film diretto da Mike Leigh ma il premio è da intendere solo come un riconoscimento alla carriera dell’impegnato regista inglese e niente altro. La vicenda narra di
Vera (Imelda Staunton) una donna di mezza età che vive con suo marito Stan (Philip Davis) e con le sue due figlie in una delle squallide casette di mattoni di Londra. Dotata di un estrema generosità verso il prossimo, con il suo povero armamentario (una grattugia, del sapone al fenolo, del disinfettante, una siringa, una polpetta, uno spazzolino per le unghie) all’insaputa della propria famiglia, aiuta gratuitamente le ragazze ad abortire. Tutto fila liscio ma il giorno in cui sta festeggiando il fidanzamento di sua figlia Ethel (Alex Kelly) con Sid (Daniel Mays) e sopraggiunge la polizia che l’arresta perchè una ragazza che sta per morire ha fatto il suo nome. Al termine del processo Vera è condannata.
Il film è un’ atto di accusa e di denuncia delle
tristi condizioni delle donne inglesi negli Anni Cinquanta e sui loro diritti
negati e sulla (solita) disperequazione dei trattamenti (la ragazza povera
abortisce da sola in una squallida cameretta e quella ricca, in una lussuosa
clinica privata con consulenza psichiatrica obbligatoria). Leigh impagina una
pellicola fatta più di contenuti che d’immagini, troppo statica ed immobile che
si trascina fino alla fine senza colpi d’ala. I singhiozzi e le lacrime sono
distribuiti a manciate ma quello che più colpisce è l’assoluto distacco emotivo
della protagonista che fa “pulizia” all’interno del corpo delle povere
malcapitate con lo stesso coinvolgimento emotivo con il quale svolge le sue
mansioni di domestica negli appartamenti in cui lavora. Per tutta la durata del
film Vera, anima pura, non pronuncia mai la parola “aborto” ed alle donne che
assiste ripete, come una nenia, le stesse identiche parole:
“Incomincerai a sanguinare,
andrai in bagno e sarai come nuova”.
Lontana mille miglia da ruggiti femministi, la
protagonista irrita per la sua piattezza affettiva e per la sua incapacità di
scaldarsi emotivamente, (colpevolmente) ignara dei possibili danni che può
provocare alle malcapitate ragazze. Il più saggio della compagnia sembra il
rallentato fidanzato di Ethel, la figlia di Vera che, a proposito dei figli,
laconicamente, commenterà:
“Se non li puoi sfamare, non li puoi amare.”
Vincitore (immeritato) del
L'Articolo- Redazione napoletana del "L'Unità" - 17-11-2004