Intervista a Maria Luisa Santella

 

E’ stata diretta da Gabriele Salvatores e da Giuseppe Bertolucci ma tutti la ricordano in “Brutti, sporchi e cattivi” di Ettore Scola nel pittoresco ruolo di Iside, la prostituta amante di Nino Manfredi, emigrante pugliese, orbo ed ubriacone che viveva in una baraccopoli alla periferia di Roma. Animatrice del teatro napoletano a partire dagli Anni Settanta, dopo aver preso atto che in città  non c’erano più spazi dove poter proporre la sua visione anarchica e visionaria del teatro e del mondo, Maria Luisa Santella, dieci anni fa è volata in Australia, terra di canguri e di aborigeni dove ha allestito numerosi spettacoli teatrali ed ha insegnato all“Academy of performing Arts”. Ma la nostalgia del Vesuvio ha iniziata a divorarla sempre più e complice “Te lo leggo negli occhi”, pellicola d’esordio diretta da sua figlia Valia, interpretata da una strepitosa Stefania Sandrelli, è ritornata nella sua città natale. Da allora quel bagaglio di conoscenza e di esperienze vissute nel Nuovo Mondo hanno iniziato a traboccare dal suo cuore ed irrefrenabile, è stata per lei l’idea di filmare Napoli con occhi nuovi. E se Michelangelo Antonioni era solito affermare che nei suoi film usava il paesaggio per esprimere gli stati d’animo dei suoi personaggi, macchina in spalla, Maria Luisa ha iniziato a perlustrare vicoli e strade. Novella Dziga Vertov, il grande teorico del cinema verità, ha filmato squarci, scugnizzi  e paesaggi. Ne è nato così “I ritornauti- They who return”, video film in quattro parti, scritto, diretto, interpretato e musicato dalla stessa Santella. La pellicola si avvale degli interventi artistici del pittore Michele Gentile che lui stesso si è divertito a filmare, cinema nel cinema, Maria Luisa che dirigeva gli altri attori. La pellicola sarà proiettata nello Spazio Videodrome nella Multisala Modernissimo dal 29 marzo al 1 aprile alle ore 18,00- 20.00 e 22.00. A completare il cast Mirella Armenio, Marina Abbate, Giulia Ruotolo, Riccardo Strada, Paola ed Umberto Gentile, e Pino Rea. Il montaggio, gli effetti speciali, le scene ed i costumi sono state curate da Maria Luisa Abbate.

Come ti è nata l’idea di questa tua nuova opera?

 

“Quando sono ritornata a Napoli ho trovato una realtà che era quella di sempre e mi sono imbattuta in una città nella mani di una setta e di una lobby sempre più assetata di potere, nell’accezione più materialista del termine. Ho così deciso di girare questo film la cui trama è assolutamente paradossale. L’avvio è dato da una coppia che viene invitata a tornare a Napoli dalla figlia di un extraterrestre e da un milanese e dopo aver impattato con la follia il degrado della politica se ne ritorna in Australia per scrivere una carta dei diritti per gli alieni.”

 

E’ dunque un film pessimista e senza speranze?

 

"Assolutamente no. A metà tra fiction e fantascienza che definirei apocalittico, nel senso intrinseco del termine, perchè rimanda ad una rivelazione; questa società, costruita da uomini senza scrupoli ed asserviti al potere non ha più futuro. Questo mondo sta fagocitando se stesso e prima o poi esploderà.”

 

Qual è il tuo attuale concetto di arte?

 

"La gente paga fior di quattrini per trovare il proprio equilibrio, ma il potere dell’arte è veramente terapeutico. Come mia figlia Valia che ha superato le sue crisi di rigetto che aveva nei miei confronti, facendo una pellicola incentrata sul rapporto conflittuale tra una madre ed una figlia, così io sono riuscita con questo film a superare quel periodo di depressione che mi stava risucchiando al mio rientro a Napoli. Questo film è stata la mia cura. Se non curi te stesso, come vuoi che la tua arte arrivi agli altri? Ecco perché l’arte deve essere pura e non contaminata dalla ricerca affannosa delle gloria e del successo ma parte integrante del tuo viaggio interno. E poi, fondamentalmente, credo in quello che affermò Vinicius De Moraes: “La vita è l’arte dell’incontro”.

 

Articolo pubblicato su "Il Napoli - Epolis"- 09 -02-2007

 

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