Intervista Vincenzo Salemme

 

 

Ha mosso i primi passi in teatro con Eduardo De Filippo ed al cinema con Nanni Moretti in Sogni d’oro e Mario Martone in Morte di un matematico napoletano. Da allora ha spiccato il volo e, grazie alle sue commedie garbate e divertenti, Vincenzo Salemme è diventato uno dei registi popolari più amati dal grande pubblico. No problem, il suo nuovo film è in sala e a dispetto delle pellicole precedenti, più che puntare sulla Herzigova, Ferilli, Arcuri, Seredova ed  altre sventole da calendario, si avvale di un cast declinato maggiormente al maschile.

 

Dopo Le chiavi di casa di Gianni Amelio, L’aria salata di Alessandro Angelici ed Anche libero va bene  di Kim Rossi Stuart, un altro film italiano che s’interroga sulla paternità?

 

"E’ un film, in qualche modo, sulla paternità forzata perché non affronto direttamente la tematica dell’essere padre. Il protagonista è un single che recita in una fiction ed un bambino fa un tranfert positivo nei suoi confronti, immaginando che sia suo padre. Spinto dal suo agente che ha fiutato i vantaggi pubblicitari, il protagonista finisce per prendersi cura del piccolo, della madre, una francese mezza pazza e dello zio, interpretato da Giorgio Panariello, uno svitato, affetto da doppia personalità."

 

Una classica commedia spensierata?

 

"Non solo. Il film è anche una metafora sulla difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità. Il protagonista ha successo ma poi crolla, travolto da quell’effimera notorietà. Tra un sorriso ed una battuta sottolineo che, a volte, essere baciati dalla buona sorte può essere anche una sfortuna."

 

Al suo fianco due attori di razza come Panariello e Sergio Rubini. Chi dei due l’ha sorpresa di più e le ha regalato più fuochi d’artificio?

 

"Giorgio ha recitato con molta intensità e direi anche con misura, termine che al cinema spesso viene frainteso e letto in maniera negativa. Sergio è straordinario, è stato una vera e propria sorpresa  e per la prima volta in carriera ha interpretato un ruolo totalmente comico."

 

Il film è girato a Roma e non compaiono più al suo fianco quei campioni della comicità partenopea come Buccirosso, Casagrande, Izzo e Paone. Vista l’immagine negativa che i media riservano alla sua città natale è forse un modo per prendere sempre più distanza dalla sua napoletanità?

 

"La scelta di non lavorare più con gli attori che ho diretto nei miei primi film è fisiologica. Non si può andare in scena sempre con gli stessi colleghi. In questo film non mi occupo di Napoli ma da napoletano, affronto i sentimenti in maniera romantica e con un pizzico di melanconia."

 

Qualche critico storce il naso perchè nei suoi film è sempre in scena e compare in ogni inquadratura.

 

"E’ un appunto ingiusto perché tutti gli attori del set mi fanno i complimenti per la mia generosità. A volte è il personaggio che interpreto che richiede una mia presenza maggiore in scena."

 

C’è chi sussurra che sia affetto come Woody Allen dal bisogno compulsivo di girare un film l’anno.

"Nessuno mi obbliga a farlo e so benissimo che, anche  per ragioni commerciali, ti devi fermare ogni tanto. A me piace lavorare e, se potessi, farei anche due film l’anno ma non sempre si ha la sceneggiatura adatta e l’idea giusta per costruire una storia ma quando sono certo che da uno spunto se ne può trarre un film divertente, allora parto e lo metto in scena."

 

Rispetto alle pellicole precedenti in No problem c’è una maggiore ricerca sul piano stilistico?

 

"Ricerca è forse una parola grossa ma sicuramente la pellicola è più curata da un punto di vista   cinematografico. In questi ultimi anni il cinema italiano sembra aver rialzato la testa e prodotto pellicole che sono state molto apprezzate anche all’estero. Come sempre ci sono degli alti e dei bassi. Quest’anno mi è piaciuto molto Il papà di Giovanna di Pupi Avati. Il vero problema con cui deve fare i conti il cinema italiano è che il mercato è sempre più veloce. Con l’avvento delle multisale un film fatica a crescere perché non può stazionare a lungo al cinema e deve lasciare il posto alle altre pellicole. E’ difficile ai giorni d’oggi entrare nel cuore delle persone perché un film ha una vita troppo breve."

 

Articolo pubblicato su "Epolis"- 13-10-2008

 

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