Intervista a Vincenzo Salemme

 

Esce oggi nelle sale di tutt’Italia “Cose da pazzi”, la nuova pellicola di Vincenzo Salemme. Divertente, ironica, piena di colpi di scena, regala allo spettatore, una prima ora di spensierata allegria. Nella seconda cambia ritmo, si fa più seria e ci propone un’amara riflessione sui “guasti” procurati dal crollo del comunismo. Il protagonista Felice Cì, interpretato dallo stesso Salemme, è, infatti, un “tossicomane ideologico”. Venutogli a mancare il sogno comunista chiede a Giuseppe Cocuzza, un anonimo funzionario statale (Maurizio Casagrande) di essere risarcito “moralmente” con una pensione di invalidità. Un finale imprevedibile riporterà il sorriso sulle labbra dello spettatore. Per il ruolo femminile il regista non sceglie le solite sventole da calendario (Herzigova, Ferilli, Arcuri, Seredova…) ma un’intensa Lidia Vitale. Come nei film precedenti, un Maurizio Casagrande, che cresce pellicola dopo pellicola sempre di più, ed uno spassoso Biagio Izzo nella parte di un (finto) trapezista spagnolo.

La sceneggiatura è dello stesso Salemme e si basa su un testo, scritto nel 1989 e rappresentato a teatro nel 1992. Come afferma lo stesso regista, la pellicola non vuole orientare politicamente, in nessun modo, gli spettatori.

“La scelta di farlo uscire prima delle elezioni non è mia, ma della produzione (Cecchi Gori) e dalla distribuzione (Medusa). Il film è diviso in due parti, in maniera schizofrenica. E’ venuto anche D’Alema a vederlo e gli è piaciuto. Quando lo portai a teatro a Bologna nel 92 lo videro in pochi ma alcuni s’arrabbiarono pure. Il mio non è un film politico. Non amo fare un certo tipo di comicità politica su fatti contingenti, né quella su persone conosciute o sui loro difetti,  siano essi Berlusconi o D’Alema, anche se, naturalmente penso che ognuno debba esprimersi come meglio creda. Ogni volta che esce un film, mi pongo sempre mille domande e sono sempre ansioso perché non so se potrà piacere o meno al pubblico. In questo film mi regalo un monologo un po’ tragico anche se, lo confesso, mi vergogno sembro un po’ ogni qual volta svesto i panni del comico. In tutta la mia carriera ho messo sempre in primo piano gli attori che lavoravano con me. Oggi ho superato una mia paura ma, quando interpreto un ruolo “tragico”, è come se mi immaginassi lo spettatore che mi dicesse: “Ma questo è diventato scemo? Ma che vuole?”. Del resto anche ne “L’amico del cuore” c’erano dei momenti di pura malinconia. Il film è ambientato a Roma, città ministeriale e dell’impiegato statale per eccellenza, anche perché credo che nella capitale l’individuo possa sentirsi un po’ più anonimo. Non sono cinico e sono certo che siamo meglio di quello che descrivo. Quello che mostro sullo schermo sono più le paure delle persone che non la realtà nella quale viviamo. Io stesso non saprei dire cosa avrei fatto se mi fossi trovato nella stessa condizione della famiglia Cocuzza. Devo ringraziare il pubblico napoletano che mi accoglie sempre con grande calore. A chi mi accusa di fare incassi sopratutto in provincia, rispondo dicendo che con i miei spettacoli teatrali batto la provincia sette-otto mesi l’anno e, pur non avendo alle spalle nessuna struttura di potere che mi sostiene, riesco a fare i film che voglio.”

E sul finale del film, Salemme lancia una critica al vetriolo contro L’isola dei famosi” e gli altri reality show.

“La mia battuta non è dispregiativa contro questi tipi di format e, scherzando, dico che, se tra cinquecento anni dovesse essere l’unica traccia della nostra civiltà, saremmo rovinati.  I reality non mi piacciono ma credo che siano graditi al pubblico perché, chi è in casa, li guarda come se aspettasse che accadesse qualcosa. Quando recitavo con lui, Eduardo diceva: “Vengono a teatro per vedere se muoio.”  Anticamente Marco Aurelio vietò gli spettacoli dei gladiatori nelle arene. Ci vorrebbe che qualcuno vietasse questi spettacoli in televisione.”

E chi lo accusa di fare  troppo “teatro” a cinema, Salemme risponde con una citazione d’autore: “Lo diceva lo stesso Hitchcock: "Il cinema è fotografare i dialoghi.”

 

L'Articolo- Redazione napoletana del "L'Unità" - 25-3-2005

 

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