Gemma Trapanese  

Rivista Interazioni- N.1.2003

C’è chi a cinema sbarca come un turista, appena vomitato da una comitiva sfilacciata, trascinandosi stancamente con l’aria un po’ annoiata. Come Senatore sia giunto al cinema, e quindi come sia approdato a scrivere di cinema, non è dato di sapere. Una cosa è certa: non è “tipo” da salire su pulman turistici. Neanche in passato, in gita scolastica, per visitare gli scavi di Pompei… Perché Lui, come si evincerà leggendo il libro, rispetto al cinema  è un viaggiatore. Che muove da anni in questo mondo, trovando libero accesso in scenari di ogni genere, attento a censire personalmente personaggi di ogni epoca e nazione, registrando dialoghi, commentando fotografie, raccogliendo souvenirs e indizi, annotando dettagli, come chi di un territorio perlustrato in lungo e in largo, dal centro alla periferia, si ritrovi a costruirne una utile segnaletica, che come in una guida Michelen che si rispetti, istruisca chi intenda  mettersi sui suoi passi.  

Il suo occhio limpido, sempre pronto a stupirsi, che scavalca gli occhialini mai appannati dalla stanchezza, non appare neanche un po’ arrossato per lo sforzo che le sue accanite e ripetute  visioni gli impongono di sostenere. Senatore, correndo su e giù , curioso, si affretta, allora, a cambiare pellicola, a visionare brani nuovi, a fare tagli e montaggi, selezionando segmenti incisivi, da sottoporre al lettore che già le prime pagine hanno ormai catturato. Pagine e pagine del suo taccuino si riempiono, così, di note sottili e fitte che si addensano alla fine di ogni capitolo, seduttive tanto da suggerirne una lettura “invertita”, dal basso all’alto. E che, mai noiose, intendono offrire con leggerezza resoconti e trame a quel lettore, lasciato da solo al buio, nel fondo di una sala cinematografica, ancora troppo zeppa di immagini e suoni. Figure e controfigure, sagome, battute accattivanti, finiscono coll’imporsi  al lettore, facendolo ostaggio, sorprendendolo attraverso elementi familiari e perturbanti. Fotografie immobili e ingiallite, primi piani sfocati  e tremolanti, raggiunti da carrellate incerte, precipiteranno a pioggia sulle pagine scorrevoli del libro, che il lettore agevolmente seguiterà a percorrere, inzuppandosi di ricordi, fino a che, grondante di  suggestioni, vedrà brillare emozioni, raccatterà briciole di scarti innocentemente sfuggiti all’oblio. Titoli di films e nomi di personaggi, che non si sarebbe mai immaginato di ritrovare, riaffioreranno, allora, reilluminati nella loro magnificenza fugace; risaliranno e scenderanno di nuovo, incoraggiando proustianamente il lettore, in qualità di residui dignitosi di un passato ritrovato, a sperare che non tutto è mai perduto di quelle ore magicamente volate via troppo in fretta, nel chiuso di una sala buia…

Tra l’altro, non potrebbe mai dirsi un occhio freddo. Il Suo. A volte è lì che lo ritrovi, ammiccante, come ad aspettarti, proprio ai margini di quella pagina con l’orecchietta, che hai appena ripreso in mano, dopo una doverosa “pausa-caffè”. Ti strizza l’occhio, con l’aria un po’ impertinente, dandoti quella spinta che ti fa scivolare di nuovo in una lettura che raggiunge troppo rapidamente la fine. Senza troppe ciance, Senatore, candido “cantastorie moderno”, rimane lì ad illustrarti, quadro per quadro, gli  intrecci e  i colpi di scena di ogni storia, prima di affidarne il finale sospirato a brevi ma loquaci ritagli di fotogrammi. Fedele all’amata lezione di Barthes, e ben esercitato a farsi “pungere” ogni volta, colleziona una a una  piccole gocce di “verità”, che danno colore alle sue “letture”, pur lasciando spazio a repliche.  E’ un occhio, insomma, su cui la palpebra si abbassa  solo a visione ormai ultimata, affinché, come a chiusura di un sipario, se ne apprezzi il retrogusto. Comunque pronto per la successiva degustazione di turno. Alla quale si accompagnerà la distribuzione di commenti nuovi che affideranno aggettivi pertinenti  un po’ a tutti i vini esaminati, da quelli di annata, e di chiaro vitigno DOC, a quelli novelli o a quelli, persino, che sanno di aceto. Come i figli per una madre, i tanti films, che si stringono intorno a lui, appaiono al suo occhio paterno, veramente tutti “uguali” … A chiamarli all’appello, per giunta, per nome, uno per uno, …mai un attimo di esitazione: Thelma e Louise, Bob con le sue manie, Bianca, Gilda, Antonia e Jane, con Benny e Joon, Evelina, Mignon, Lorenzo, Sam, Betty Blue, Harry e Sally, Babette, Lola…, Adele H., Arturo… ed altri ancora, che ritroviamo, nell’affollato album cinemafotografico a comporre una fratria folta ed interessante. Che, in quanto a tipologie familiari di appartenenza, Senatore con puntualità passa a presentare, facendo, così, sfilare in passerella “La famiglia Addams”, “La famiglia buonanotte”, “la famiglia maledetta”… e molte ancora.

Anche tutte le donne avvistate, in ogni film, risultano  regolarmente registrate: dalLa signora della porta accanto, alla parrucchiera, alLa donna del ritratto, che insieme alla donna fantasma accompagna La donna che visse due volte. Una donna sul lago, sembra infine elencata insieme alLa signora di Shanghai Nel mucchio dei tanti titoli menzionati e raggruppati per categorie, spuntano finanche quelli col punto esclamativo… Il lettore, intanto, preso dal piacere di smontare e rimontare trame, può finire col prendersi la libertà di scucire e ricucire i capitoli,  ritrovandosi così come per gioco a mettere in libertà l’uno di seguito all’altro i titoli dei films menzionati, che sistemati docilmente in fila indiana, finiscono con l’imbastire buffi monologhi, nella moderna e spaesante formula grammaticale di un “messaggio SMS” che intenda affidare alla fragile catena associativa, il destino già segnato di rimanere orfano di un “ascolto” auricolare: “Ricomincio da capo. Mignon è partita. Cara mamma mi sposo. Nessuno mi crederà.  Parenti serpenti. Parenti, amici e tanti guai. Cara mamma ho riperso un aereo. Qualcosa è cambiato. Solo chi cade può risorgere. Io speriamo che me la cavo…”.

E’ possibile risalire al fatto che nove dei diciassette capitoli che compongono il libro, sono relazioni presentate a convegni vari, nei quali Senatore declina con il cinema, sua prima passione, la sua anima professionale di psichiatra e psicoterapeuta:  famiglia, anoressia e bulimia, alcolismo, pratica psicoterapeutica trovano la trattazione che si meritano. Egli stesso medico fa sì che i suoi “camici bianchi” del suo schermo  possano dare lezione ai camici bianchi del nostro attuale sistema sanitario. Ecco, allora, o  presto descritti “i nostri” come eroi dotati di straordinari poteri, magari pericolosi, …o come personaggi spregiudicati e senza etica, arrivisti, corrotti come il dottore Mabuse, Il medico della mutua, o quello  in Coma profondo, o in  Bisturi la mafia bianca e Articolo 99. Per nostra fortuna, nella carrellata, in mezzo ai cattivi, Senatore non trascurerà di segnalare il nostro amato e indimenticabile  buon  dottor Kildare, medico bello e irresistibile, capace di riscattare un nostalgico immaginario collettivo, che  rispolveri più giusti ideali…

Fobie e ossessioni, ansia, angoscia e attacchi di panico, depressione, disturbi ipocondriaci, malattie psicosomatiche finiscono col trovare una loro insolita trattazione, grazie a ritagli insoliti di suggestivi dialoghi  di films, che trattati come pazienti in osservazione, si ritrovano senza più  trame, spogliati di tutte le atmosfere emotive, da quelle cupe e inquietanti, a quelle esilaranti, rimanendo in bilico, sempre e comunque, tra sogno e realtà. A films come Vertigine, Angoscia, Disperata notte, Angoscia nella notte, La muraglia delle tenebre, Così scura la notte, L’ombra del dubbio, L’ombra del passato, possiamo provare ad immaginare venga affidato il compito di tirare su qualcosa dal profondo, che spinga il racconto verso altri  possibili destini, che il lettore, proprio come un ebro sognatore, inseguirà. Catturando eventi soggettivi, reclutando imprevedibilmente dentro di sé attori e fatti , solo a lui noti, lacererà lo schermo, sfilaccerà la trama “reale” del film, trasformandola…Diventerà, insomma, egli stesso regista di un nuovo, privato film…

Per caso, in ciò il potere  “curativo” del cinema?

Senatore, a questa domanda,  sorride e non risponde, dopo aver maliziosamente cancellato proprio dal titolo del libro “Curare con il cinema  il punto interrogativo. Una provocazione? Ma verso la fine della lettura, si ha la sensazione che le pagine abbiano disfatto  le trame, ridotto le unità narrative dei  films in frammenti. Ma sono, forse, proprio questi, divenuti “residui diurni”, dopo la visione di un film,  a  forare la nostra coscienza, ad insinuarsi nelle tenebre, ad uscire dal buio di un cinematografo, rificcandosi in un altro buio, quello delle nostre camere da letto, in cui dormiamo e sogniamo?

E’ proprio in questa nuova “stanza” buia, che la realtà filmica, ormai avviato il suo ciclo metabolico, finisca in un gioco a cascata ad attivare la   scrittura di inedite scenografie. Che diventano quelle dei nostri sogni. Arruolato, allora, un nuovo cast di attori, fatti scendere in nuove parti, i nostri “films onirici” incominciano ad interrogare il  mistero della nostra anima, riaccendendo la fiamma di emozioni sepolte, sollevando timori e sgomento, fino a farci, a volte, sentire Sotto accusa… Dopo aver saturato la nostra vista, dopo aver golosamente divorato pellicole chilometriche,  ingoiato in un sol boccone dialoghi, con annesse colonne sonore…, era pure ora che giungesse il momento di “digerire”. Qualcuno, in verità, si domanda se allo stesso Senatore sia dato di sognare…

Anche per i suoi sogni, Senatore continuerà, come già nella sua scrittura, a selezionare, procedere per classi, per sottoinsiemi di insiemi infiniti, fino a quando gli elementi, sfilati dalle loro trame, catalogati, poi con pazienza  maneggiati, quindi ripalpeggiati… sapranno guadagnarsi la agognata vicinanza alle proprie verità più “vere”, quelle che uno scrittore, come un sognatore intendono afferrare e mostrare, magari attraverso il vecchio gioco del nascondere.

Nel tentativo di orientarci in uno scritto, come in un sogno, eccoci allora inevitabilmente giunti vicini alla sua origine, al suo  “ombelico”, che come quello del sogno parla  sempre di una  ferita, di una cicatrice. Che dice di un trauma, di una  frattura tra sé e l’altro, tra realtà e fantasia, tra realtà e rappresentazione, tra realtà e finzione. Che allude ad un dolore, … forse… proprio quello che si vorrebbe grazie al cinema stesso provare a indovinare, a curare, come nella stanza di un analista. La stanza di un analista, tra l’altro, è l’immagine-illustrazione fotografica evocata in copertina.

Eppure  proprio da questa la nostra lettura era partita. Affidate proprio ad essa  le tracce visive partivano da una scena cinematografica di un “interno”, che racchiude lo sguardo di qualcuno affacciato su un altro,  in- clinato da una sofferenza e forse proprio per questo ormai caduto in posizione supina, nell’ormai universale e riconoscibile divano di cura analitica. Come in un rebus che contiene un implicito da smascherare, l’illustrazione della copertina mantiene volutamente nascosto il titolo, pur denunciandolo indirettamente attraverso l’eloquente immagine proposta. E’ proprio il titolo “non dichiarato”, ma bisbigliato visivamente che va a proporsi come nastro di guida alla lettura, accompagnandoci fino all’ “ombelico” originario, quello che evoca la lacerazione insopportabile della perdita. La stessa, però, che farà metterci piede in uno spazio nuovo, divenuto accessibile proprio perché  dolorosamente vuoto…, quella “stanza del figlio”, da cui  poter ripartire per riavvolgere il nastro della nostra esistenza, della nostra lettura di noi stessi, inoltrandoci nel nostro intestino labirintico, appunto, fatto di altre stanze, mai ancora frequentate, e  in cui si proiettano infiniti nuovi mondi…, da esplorare. Spazi  che qualche regista, qualche scrittore sta provando già ad indovinare e magari a rappresentare in un nuovo film che Senatore, ne siamo certi, non si lascerà sfuggire. 

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