Risate sul lettino

 

L'industria cinematografica fonda il proprio successo sulla presenza di chiare marche di riconoscimento, di specifici tratti distintivi, sulla serialità, sulla ripetizione. Francesco Casetti ricorda che “è abitudine dare un seguito ad un film di successo, ricorrere al ricalco delle formule vincenti, i generi cinematografici che lasciano il posto ai filoni che ripropongono, fino all'esaurimento, una medesima situazione. Da questa premessa ne discende che la fabbrica dei sogni deve il suo successo alla riproposizione sullo schermo di codici iconografici di rappresentazione stereotipati e standardizzati”. A questa modalità seriale di rappresentazione non sfuggono quei film che ripropongono, in un numero sempre crescente, la figura dello psichiatra/psicoanalista sullo schermo, Gli “analisti in celluloide” fanno capolino in ogni genere cinematografico dai musical (Girandola…) al thriller (Vestito per uccidere…) dal drammatico  (La signora della porta accanto…) all’erotico (Emmanuelle nera 2…) ma sono certamente le commedie a fare la parte del leone e con la loro copiosa produzione sul tema alimentano, da decenni, la rappresentazione caricaturale degli scrutatori dell’anima.

Data la vastità dell’argomento focalizzerò l’attenzione solo su alcuni espedienti narrativi più collaudati da registi e sceneggiatori per scatenare l’ilarità tra il pubblico e citerò solo alcune pellicole sul tema.

In alcuni film gli psicoterapeuti/psicoanalisti appaiono come dei seri ed affidabili professionisti che, facendo appello a delle teorie fumose e strampalate, elargiscono consigli e ricette sul mal di vivere ma nel corso della vicenda sono impunemente sconfessati. In Donne vi insegno come si seduce un uomo di Richard Quine (1964) la dottoressa Helen Gurley Brown diviene famosa per aver scritto un volume che mette in guardia le donne dagli inganni e dalle inside perpetrate dagli uomini e suggerisce alle lettrici come accalappiare la futura preda ma un giornalista simpatico e senza scrupoli la smaschera e svela che lei non solo non ha mai avuto una relazione sentimentale soddisfacente e duratura ma che è ancora vergine.

In Giù le mani da mia figlia di Stan Dragoti (1989) Doug Simpson, giovane vedovo non sa come fronteggiare lo stuolo degli  ammiratori di Bonnie, la sua figlia adolescente e si rivolge al dottor Fishbinder uno psicoterapeuta, autore di un bestseller su come affrontare i problemi adolescenziali. Doug esegue alla lettera i suoi suggerimenti ma il rapporto con sua figlia precipita; sul finale, scopre che il dottore non è sposato e non ha figli.

Ad un secondo gruppo appartengono quei film nei quali psicoterapeuti/psicoanalisti discettano amorevolmente e con aria filosofale sull’amore e sui rischi legati ai rapporti di coppia ma, incapaci di mettere ordine nella loro vita privata e sentimentale, si invaghiscono delle loro pazienti (La signora e i suoi mariti di J. Lee Thompson 1964, Amore e magia di Terry Hughes 1991) e finiscono per mettersi ancora di più nei pasticci.

Ad un terzo gruppo fanno riferimento quelle commedie nelle quali un ex paziente (Lo strizzacervelli di Michael Ritchie 1987) od un ciarlatano (Munford di Lawrence Kasdan 1999) si spacciano per psicoterapeuti/psicoanalista e quei film nei quali un paziente si rivolge ad una persona, ritenendola  uno psicoanalista (Un divano a New York di Chantal Akerman 1996, Martha da legare di Nick Hamm 1998)  In tutte queste pellicole i presunti indagatori della psiche, pur non avendo mai effettuato nessun training specifico, mostrano una notevole capacità d’ascolto, appaiono più bravi, più sensibili e più competenti degli psicoterapeuti/psicoanalisti ed in poche sedute, facendo appello alla loro sensibilità ed umanità, riescono ad aiutare il paziente a sbarazzarsi delle loro paure ed ossessioni ed a vivere più serenamente.

All’ultimo gruppo appartengono quelle pellicole che mostrano un paziente, disteso sul lettino. Dopo qualche battuta si scopre che il paziente sta parlando da solo perché lo psicoanalista, nel frattempo, si è allontanato di soppiatto dalla stanza della terapia per farvi ritorno successivamente, senza colpo ferire. Ne Il visone sulla pelle di Delbert Mann (1962) il dottor Gruber ha in cura Roger il fido segretario tuttofare di Shayne. In un’esilarante scenetta non appena il paziente si sdraia sul lettino il dottore gli chiede dell’andamento in Borsa. Roger gli suggerisce di comprare delle azioni di una società e mentre continua a parlare imperterrito, lo psicoanalista, in gran segreto, si allontana dalla stanza per telefonare al suo broker e gli chiede di comprare alcune azioni. Il dottore rientra ma da quel momento in poi, per un divertente malinteso è spinto a credere che Roger si sia innamorato di Shayne e che il suo equilibrio psicologico stia vacillando. Dopo aver interrotto frettolosamente la seduta, richiama il suo broker, annulla l’acquisto delle azioni e nel corso delle sedute successive, rivela al paziente di sentirsi smarrito e di dover tornare a Vienna per un corso di aggiornamento.

In Tutti pazzi per Mary di Bobby e Peter Farrelly (1998) Ted è sdraiato sul lettino e sta raccontando al suo analista (Richard Jen del suo primo incontro con Mary e della sfortunata disavventura di cui era rimasto vittima prima di accompagnarla al ballo della scuola. Si scopre solo allora che Ted sta parlando da solo perché il suo analista, senza farsene accorgere, è sgusciato via dalla stanza per sgranocchiare qualcosa sotto i denti. Un attimo dopo rientra con un bel tovagliolo ancora annodato al collo e, dopo aver masticato con gusto qualcosa, si rivolge al paziente, accenna alla rinfusa alla sua presunta omosessualità e gli annuncia che il tempo della seduta è scaduto.

In Equilibrium, secondo episodio di Eros, diretto nel 2004 da Steven Sodeberg Nick, un pubblicitario, teso e preoccupato per il lancio di un nuovo tipo di sveglia, dopo aver passeggiato su e giù per lo studio dello psicoanalista, superate le resistenze, si sdraia sul lettino, si rilassa ed inizia a raccontare il suo sogno/incubo. Lo psicoanalista lo ascolta distrattamente e, dopo essersi aggirato nello studio senza far rumore, apre un cassetto, estrae un binocolo ed inizia a spiare una dirimpettaia. E mentre il povero Nick si arrovella per cercare di capire chi si nasconde dietro la donna che popola il suo sogno, il dottore continua a fare dei grandi gesti d’intesa alla ipotetica dirimpettaia e gli lancia un aereoplanino di carta. Sul finire si scopre che tutta a vicenda non era altro che un sogno del protagonista.

Dopo questo breve excursus sul tema risulta evidente che, generalmente, nelle commedie (e non solo) seppure con sfumature diverse, compaiono solo terapeuti incauti, pasticcioni ed imbroglioni.

In tutti i miei volumi ho sempre ribadito che, grazie a questa stereotipata rappresentazione, lo spettatore in sala può sentirsi rassicurato ed essere certo di essere meno folle degli analisti comparsi sullo schermo. Generalmente queste commedie, pur non essendo sempre irresistibili, strappano sempre qualche sorriso e sono punteggiate da battute gustose e divertenti.

La più graffiante di tutte? La tela del ragno, film diretto nel 1955 da Vincente Minnelli si apre con Steven, un giovane paziente ricoverato in una clinica per malattie mentali che si rivolge a Karen, la moglie del direttore della struttura e le dice: “Nella clinica sono tutti matti… Non si distinguono i pazienti dai medici”. Karen gli sorride e prontamente gli ribatte:“Io si, i pazienti migliorano.”

 

dalla Rivista "Eidos- Cinema, Psiche ed arti visive" Numero 11
 

 

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