L'isola del tesoro

 

In virtù della mia “competenza” cinematografica, mi è stato spesso chiesto di suggerire dei film che potessero fungere da "cura" per un ipotetico spettatore. Pur amando il cinema, ho sempre risposto che, a mio parere, la semplice visione di un film non avrebbe mai potuto eliminare i conflitti, ridurre le ansie e placare le angosce di uno spettatore. Ma come afferma Gianni Canova nella sua prefazione al volume, è innegabile che il cinema svolga un ruolo "terapeutico" per lo spettatore.

"Ricordo certi pomeriggi invernali a Milano, quando il "mal di vivere" (la sua insensatezza) sembrava materializzarsi nella nebbia che ti inghiottiva e che immergeva lo sguardo in un'ovattata luminosità lattigginosa. Si andava al cinema, allora. A vedere qualsiasi cosa, purché fosse un film. Rannicchiati in terza fila, in posizione fetale, ci lasciavamo invadere dai simulacri di mondo che emanavano dallo schermo. 90-120 minuti di terapia intensiva: all'uscita stavamo sempre meglio e ci pareva perfino che il mondo (quasi sempre ancora avvolto nella nebbia) fosse migliore (e avesse più senso) di quanto non pensassimo prima di comprare il biglietto e di immergerci nel buio luminoso della sala."

Questo volume prosegue idealmente il percorso che intrapresi nel 1995 con il volume "L'analista in celluloide. La figura dello psicoterapeuta al cinema" (Franco Angeli). E se allora il mio interesse era rivolto a comprendere in che modo l'universo della celluloide raffigurava i terapeuti sullo schermo (generalmente rappresentati come dei professionisti più folli, poco professionali ed inguaribilmente innamorati delle pazienti che avevano in cura) in questo ultimo volume, ho cercato di sottolineare come i rapporti tra cinema e psichiatria siano fortemente intrecciati tra loro.

Ricco di citazioni ed impreziosito da numerosissime e fedeli trascrizioni di brani cinematografici, il volume é suddiviso in due sezioni. La prima parte raccoglie una serie di articoli sul cinema e l'immaginario collettivo (la famiglia, la figura del medico, i ricordi, la memoria e l'oblio, la seduzione, il cibo…). Nella stessa sezione, non mancano approfondimenti legati alla rappresentazione sullo schermo di alcuni quadri psicopatologici (l'alcolismo, la depressione, gli attacchi di panico, le fobie, le ossessioni, i disturbi psicosomatici…).  

La seconda parte del volume, rivolta più specificatamente agli "addetti ai lavori", approfondisce alcuni aspetti della prassi psicoterapeutica, fino ad ipotizzare che, in ragione del nostro destino, ogni psicoterapeuta é affetto dalla "Sindrome di Sheherazade" una “affezione" che, come l’eroina del racconto, colpisce chi è "condannato" a narrare storie.

 

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