Palindromes

di Todt Solondz con Ellen Barkin, Debra Monk, Rachel Corr – USA – 2004 – Durata 100’

 

Diverse storie si snodano contemporaneamente e lambiscono il tema  della gravidanza. Una dodicenne insoddisfatta ed inquieta è ossessionata dall’idea di dover mettere al più presto al mondo un bambino e, per coronare il proprio sogno, scappa di casa e fa l’autostop. Un camionista l’invita in un motel e, dopo aver fatto l’amore con lei, di buon mattino se ne va via, senza nemmeno salutarla. Una ragazzina è violentata e rimane incinta e sua madre Joyce (Ellen Barkin) la costringe ad abortire; in seguito a delle complicazioni avvenute nel corso dell’intervento la ragazza subisce l’asportazione dell’utero. 

Solondz, uno dei pochi registi indipendenti del cinema americano, delude i suoi fan e non riesce a rendere intrigante una pellicola che oscilla tra la commedia sarcastica ed il dramma cupo e senza speranza. Come recita il titolo (un palindromo è una sequenza di lettere che, sia da sinistra verso destra e viceversa, rimane invariata nella lettura) non è possibile mutare il proprio destino. Il campionario umano che sfila sullo schermo è fin troppo dolente e sofferente ed a lungo andare il regista non controlla la narrazione che risulta troppo caotica, spezzettata e cerebrale. e Solondz lascia che a vestire i panni di Aviva (nome che è anch’esso ad un palindromo) siano, di volta in volta, attrici, diverse per razza e per età;  inizialmente , questo espediente affascina ed intriga, ma poi finisce solo per confondere inutilmente lo spettatore. L’unica scena davvero toccante è quella ambientata in una comunità di bambini disabili, gestita da Mama Sunshine (Debra Monk) una donna in piena crisi mistica e mentalmente disturbata che mostra Barbara, una bambina cieca che racconta la propria storia:“Mia mamma era dipendente dalle droghe viveva nel peccato. Non credeva in Dio né in nulla. Quando restò incinta prese ancora più droghe. Io sono nata cieca a causa di tutte le droghe. A mia madre non l’importava, non mi voleva. Cercò di uccidermi dentro di lei con una gruccia ma sono sopravvissuta. Mi odiava così tanto che non mi ha mai parlato per i primi tre anni della mia vita. Mi aggrediva e mi picchiava. Mi malediceva ogni giorno. Non ricordo niente di questo. Ma questo è quello che ho saputo quando mia madre si soffocò nel proprio vomito a causa di un’overdose. Sono stata mandata in una serie di istituzioni per essere valutata psicologicamente.”

 

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