La notte dei diavoli

di Luigi Ferroni  con Gianni Garko, Agostina Belli,  Italia – 1972 – Durata 91’ – V.M 14

 

Un uomo di cui non si conosce l’identità è ricoverato in stato confusionale in un reparto psichiatrico. Il professore che lo ha in cura, dopo averlo sottoposto ad EEG e ad una batteria di esami clinici cerca, inutilmente, di aprire un varco nella sua mente. Qualche ora dopo si presenta in ospedale Sdenka (Agostina Belli) una donna che dichiara di conoscere la sua identità; l’uomo si chiama Nicola (Gianni Garko) ed è un importatore di legname. E quando il professore invita la donna a far visita al paziente, questi, colto da una crisi psicomotoria, è legato dagli infermieri con una camicia di forza. Flashback. L’auto di Nicola va in panne e lui si dirige verso un vecchio casolare in un bosco in cerca d’aiuto. Ma la casa è popolata da un nucleo familiare, composto da un severo padre di famiglia, i suoi due figli, la figlia Sdenka ed una nuora. Strani presagi infestano la casa e Nicola scopre di essersi imbattuto in dei "morti viventi". Dopo aver assistito ad una serie di sanguinarie uccisioni, riesce a scappare prima di essere contaminato da quella mostruose creature. L’ultima scena ci riporta in ospedale; Sdenka vuole ad ogni costo rivedere Nicola ma l’uomo, in preda ad un forte stato d’agitazione, credendola un morto vivente, l’uccide trafiggendole il cuore con un ferro acuminato. Quando scopre che la donna non è una zombie e che era solo vittima della propria follia, agli infermieri ed al professore che hanno assistito impotenti alla scena, ripete come un automa: “Non sono un assassino! Guardate le sue lacrime di sangue, il volto putrefatto. Non sono pazzo! Guardate!” 

Film con evidenti limiti estetici consigliabile a chi ama le scene truculenti ed il sangue che scorre a fiotti. Ferroni, fedele ai canoni del genere, ripropone le classiche atmosfere macabre ed inquietanti legate al mito dei morti viventi ed ambienta la vicenda prevalentemente nello spoglio e povero casolare dove vivono i morti viventi. Nonostante il tema possa far sorridere Ferroni prova a donare ai protagonisti un tocco tragico e li descrive come dei poveri diavoli, vittime di un destino infame e crudele che si accanisce contro di loro e che li porta, inevitabilmente, alla distruzione ed alla morte. Il dottor Tosi che ha in cura il paziente ha un’aria professionale e nel rivolgersi al commissario che sta indagando per scoprire l’identità dell’uomo, gli dice: “Ho notato alcune manifestazioni ricorrenti che seguono il ritmo giorno-notte. Evidentemente il trauma che ha determinato il suo stato confusionale e la sua amnesia deve essersi verificato con la notte oppure con il buio. Infatti, quando sta per calare la luce il suo nervosismo aumenta e passa tutte le notti alla finestra in attesa, come se avesse paura, come se aspettasse qualcuno.”  Successivamente, analizzando l’incontro tra Nicola e Sdenta, commenta: “E’ strano. Appena il nostro paziente se l’è è vista davanti ha avuto una crisi psicomotoria, come se quella donna facesse parte di una realtà che la sua mente ha deformato, di un ricordo frustante che vuole cancellare.”  Il finale, tragico e vibrante riscatta la pellicola.

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