Nel nome
di Jim Sheridan con
Daniel Day-Lewis, Pete Postlethwaite, Emma Thompson, Anthony Brophy, John Lynch,
Beatie Edney - Irlanda -
1993 – Durata
1974. Gerry Conlon (Daniel Day-Lewis), Paddy Armstorng (Mark Sheppard) Carole Richardson (Beatie Edney) e Paul Hill (John Lynch), quattro irlandesi scapestrati sono accusati, ingiustamente, di essere dei militanti dell’IRA e gli esecutori di un attentato terroristico che ha causato la morte di cinque persone. Gerry, testa matta e ladruncolo da strapazzo, si dichiara innocente ma, dopo essere stato sottoposto in carcere ad ogni tipo di torture, cede e firma una dichiarazione dove confessa di essere uno dei responsabili dell’attentato. Condannato a trent’anni di prigione è raggiunto in cella dal padre Giuseppe (Pete Postlethwaite), un uomo mite, accusato, ingiustamente, di omicidio e di possesso di esplosivo. Il carcere è duro ma Giuseppe, convinto nella bontà della giustizia, inizia a smuovere un po’ le acque e contatta l’avvocatessa Gareth Peirce (Emma Thompson) perché appoggi la loro causa. Giuseppe ha dei gravi problemi di salute e dopo qualche anno muore. La tenace e coriacea avvocatessa, con una campagna di controinformazione, sensibilizza l’opinione pubblica, ottiene la riapertura del processo e la scarcerazione di Gerry e dei suoi amici.
Il film descrive con
maestria il clima di violenza che regnava in Gran Bretagna negli Anni Settanta,
è uno spietato attacco contro i metodi disumani utilizzati dalla polizia inglese
e punta ferocemente il dito contro una giustizia che ha condannato degli
innocenti a scontare quindici anni di carcere. Sheridan mantiene sempre alta la
tensione, dona alla pellicola un ritmo teso e vibrante e le scene delle torture
a cui sono sottoposti i presunti terroristi mozzano il fiato. Ma al di là della
vicenda politica quello che colpisce è l’ambivalente e conflittuale rapporto tra
padre e figlio. Gerry è descritto come un adolescente ribelle ma sensibile ed
intelligente, Giuseppe come una persona fin troppo passiva e che, nella propria
vita, non ha mai reagito alle avversità, ha piegato sempre la testa,
restandosene accucciato in silenzio un angolo. Buono, onesto e leale, Giuseppe è
però sempre stato una persona rigida ed emotivamente distante dal figlio ed il
giorno in cui è recluso nella stessa cella del figlio, a muso duro, Gerry gli
dice: "Perché mi segui sempre
quando faccio qualcosa di sbagliato e non mi segui quando faccio qualcosa di
giusto? Parlo dell'unica schifosa medaglia che si sia vista in casa nostra, la
medaglia che ho vinto a football. E tu te ne stavi a bordo del campo a gridare
istruzioni, tu che non hai mai capito niente di football. E vedevi solo gli
sbagli che facevo. Per te non ho mai fatto niente di buono. E così a fine
partita sei venuto da me e hai detto: "Jerry, hai commesso un fallo!" Allora io
mi sono allontanato da te e me ne sono andato negli spogliatoi. E tu mi hai
detto: "Jerry hai commesso un fallo !" E i padri degli altri ragazzi mi ridevano
dietro e ti chiamavano "povero Giuseppe". Ho scritto il tuo nome per terra e ci
ho pisciato sopra, perché avevo fatto veramente un fallo, ma che importanza
aveva; per una volta nella vita, avevamo vinto! Tu mi hai rovinato quella
medaglia...E a quel punto ho incominciato a rubare, per dimostrare che non
valevo niente...Ricordo la madre che diceva: "Non fare arrabbiare Giuseppe, non
sta bene. Muoviti in punta di piede, é malato…" Perché sei stato malato tutta la
vita, a cosa ti é servito essere malato tutta la vita?"
Il regista
sottolinea le notevoli differenze caratteriali tra ai due; nel corso della lunga
detenzione Gerry solidarizza con gli altri detenuti dell’IRA, il padre, invece,
non solo critica le sue scelte politiche, ma familiarizza con i suoi carcerieri.
Negli anni i due riescono a ricucire il rapporto logoro e sfibrato e prima che
il padre muoia, Gerry gli confida:
"Quello che ricordo meglio della mia infanzia è quando ti tenevo per mano, la
mia mano dentro