Nathalie… di Anne Fontaine – Francia (2004)

 

Grazie ad un messaggio in segreteria telefonica Catherine (Fanny Ardant) scopre che suo marito Bernard (Gérard Depardieu) la tradisce. Senza battere ciglio assolda Marlène (Emanuelle Béart) un’affascinante entraîneuse e le chiede di assumere l’identità di Nathalie, di fingersi una giovane studentessa in lingue e di sedurre il marito. Bernard cede immediatamente alle lusinghe della sensuale Nathalie ed i due intessono un’infuocata relazione amorosa. Di tanto in tanto le due donne s’incontrano e la giovane prostituta racconta a Catherine quello che accade nel segreto dell’alcova. E se Bernard fosse un marito esemplare e le storie che Marlène racconta alla frustata Catherine fossero solo frutto delle sue fantasie? Un colpo di scena finale svelerà cosa si cela dietro l’appassionante e (im)prevedibile intrigo. La sintassi e la grammatica, si sa, non nascondono nessuno mistero. L’unica eccezione? Quei tre piccolissimi segni d’interpunzione collocati al termine di una parola che possono scatenare la mirabolante immaginazione dello spettatore. La forza di Nathalie… è proprio tutta in quei tre piccolissimi punti sospensivi. Fedele a questa regola, Fontaine non riprende mai gli incontri tra Bernard e Nathalie e l’ardente relazione erotica tra i due amanti è rimandata nel fuori campo, in un altrove non visibile sullo schermo. Seppur il tema della pellicola appare scabroso e ad alto tasso erotico il film è impaginato con rara eleganza e raffinatezza e ruota intorno allo sconcerto di una donna che, dopo venti anni di matrimonio, scopre di vivere al fianco di un perfetto sconosciuto. Senza mai cedere nella volgarità e nella pruriginosa malizia, la pellicola racconta in maniera struggente e passionale la storia di una moglie che, ferita nell’orgoglio, è disposta a cedere il marito ad un’altra donna, pur di scoprire quale immaginario erotico popola la mente del proprio coniuge. Catherine non strepita, non urla, non inchioda alle proprie responsabilità un uomo che è anche il padre del loro figlio adolescente ma sceglie di imbrigliare le proprie reazioni emotive per poter passare, razionalmente, al setaccio, le fantasie sessuali di Bernard. Assoldare Nathalie non è la maliziosa e licenziosa divagazione di una ginecologa ricca e borghese ma è l’estremo tentativo di una donna che, essendo ancora innamorata del marito, vuole comprendere i motivi che lo hanno spinto progressivamente negli anni ad allontanarsi da lei e a tradirla ripetutamente. Ed anche se Nathalie non lesina dettagli sulle debolezze e sui più intimi ed inconfessabili desideri erotici di Bernard, per tutta la durata del film, Catherine non appare mai turbata, sorpresa o scandalizzata dalle sue rivelazioni. L’(in) atteso colpo di scena finale ammanterà ancora più di fascino l’intera vicenda. Film sul doppio (Catherine vorrebbe essere Nathalie e vive, come in uno specchio, attraverso il suo desiderio) sugli scambi (simbolici) che ruotano intorno all’immaginario amoroso di una coppia, sul declino del desiderio erotico di due coniugi sposati da anni e sulla solitudine che li attanaglia. Come ogni film francese che si rispetti la regista scava nell’anima e nel cuore dei protagonisti e l’ambientazione, trattenuta e composta, è giocata tutta sui silenzi e sugli sguardi.  Ma Fontaine non è la provocatoria Cathérine Breillat  di Pornocrazia ed il suo film, basato più sulle parole che sugli scatti visivi, pecca un po’ di staticità ma ha il pregio di rinnovare la tradizione del romanzo erotico francese (Paulìne Rèage, Emanuelle Arsan, Anais Nin) tutta declinata al femminile. Film dalle diverse temperature che prende fuoco ogni qual volta entra in campo la radiosa e seducente Emmanuelle Béart e che si spegne quando compaiono lo statico Depardieu e la sua sconsolata consorte. 

 

Recensione pubblicata sulla Rivista "Friendly" Numero 3 - Marzo 2006

 

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