Intervista a Giuliano Montaldo

 

Ironico e pungente, come sempre, Montaldo accetta di lasciarsi dondolare dai ricordi e di ritornare con la memoria ai suoi primi anni di apprendistato.

Come ha mosso i primi passi nel cinema?

“Ho iniziato come attore in “Actung banditi” e “Cronache di poveri amanti” di  Lizzani e con “Gli sbandati” di Maselli. Facevo l’attore per sopravvivere e, nel frattempo, rubavo il mestiere un po’ a tutti. Ho fatto il secondo regista con Pontecorvo, sia in “Kapò” che ne “La battaglia di Algeri” e con Petri ne “L’assassino”. Poi ho camminato da solo. Quello che mi ha sempre affascinato del cinema è la gioia di inventare, di esplorare. Non a caso, forse, il mio film simbolo è il “Marco Polo” televisivo, girato in tre continenti, venduto in tutto il mondo e che possiamo definire la più grande avventura della RAI.”

Quali erano i suoi autori preferiti?

“Ho avuto una grande ammirazione per Pasolini e per il suo modo di rappresentare sullo scherma la Roma delle borgate. Mi piaceva quel senso minimalista de “Il posto” di Olmi ma, nel complesso, mi è sempre piaciuto il cinema dei grandi temi. E quando la gente rimane fuori il cinema a discutere animatamente su un film, quando sai che una persona, dopo aver visto “Giordano Bruno”, entra in una libreria e sente il bisogno di approfondire la propria conoscenza e saperne di più di quello straordinario nolano, allora vuol dire che il cinema ha vinto. Torno adesso da Genova dove ho incontrato, per un’esperienza analoga, altri studenti. Questo vuol dire che i miei film non sono mai morti, forse, perché raccontano di eroi disperati che volevano pensare in maniera diversa dal coro e che, per la ricerca della verità, sono andati incontro ad un tragico destino: Giordano Bruno è morto sul rogo, Sacco e Vanzetti sulla sedia elettrica e la protagonista di “Agnese va a morire”, uccisa da un soldato tedesco. In realtà tutto il mio cinema è attraversato da un solo tema: la lotta all’intolleranza.”

Lei è stato l’unico regista italiano che ha diretto Edward G. Robinson, Janeth Leigh, John Cassavetes, Gena Rowlands, Nicolas Cage.

“Gli intoccabili”, il film con Cassavetes e sua moglie Rowlands, lo girai tra Los Angeles, Las Vegas e San Francisco. La critica ebbe una reazione fredda ed al pubblico non piacque molto. Ne rimasi molto avvilito e la stessa reazione fu anche per “Ad ogni costo”, pellicola che girai due anni prima, nel 1967 con Edward G. Robinson e Leigh, l’indimenticabile attrice di “Psyco” di Hitchcock. Fortuna che il pubblico e la critica mi hanno poi, premiato negli anni successivi. Ma ci tengo a ricordare che ho diretto anche attori come Gian Maria Volontè, Giancarlo Giannini, Salvo Randone, Philippe Noiret, Rupert Everett, Charlotte Rampling ed Indrig Thulin, solo per citarne alcuni.”

Lei si è sempre dichiarato di sinistra. Questa sua scelta l’ha penalizzata o l’ha favorita?

“Se non fossi stato schierato? Quando hai la professione, stai certo che ti vengono a cercare. Il cinema deve essere ribelle, provocatorio, grottesco ma non potrà mai essere al servizio di nessuno."

Cosa pensa di una televisione che, invece di trasmettere in prima serata i suoi film, li manda in onda, di tanto in tanto e solo in orari utili per gli insonni ed i nottambuli? 

“Gli inserzionisti pubblicitari non sono stupidi e sanno che non possono mandare in onda la pubblicità mentre è sullo schermo la scena di Sacco o Vanzetti che sono sulla sedia elettrica. Ma, in realtà, lo confesso, preferisco che i miei film vengano mandati in onda a notte fonda. L’idea che siano interrotti dai rotoloni di carta igienica proprio non vi va giù.” 

 

Per l'intervista completa si rimanda al volume "Psycho cult" di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)

 

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