El pibe de coca

 

Ricordo ancora oggi l'emozione che suscitò in me la lettura della pagina iniziale de "Il danno" di Josephine Hart. Al di là dello stile asciutto e serrato, essa conteneva un'inaspettata dichiarazione del protagonista. L'uomo, un signore di mezz'età, ricco, famoso ed all'apice del successo, si dannava per aver vissuto troppo a lungo. Le pagine successive chiarirono il senso tragico della sua affermazione. L'uomo s'era innamorato della fidanzata del figlio e n'era divenuto l'amante. Scoperta la tresca amorosa, il figlio si era suicidato ed il protagonista, ormai impazzito, era condannato a trascorrere i suoi giorni, in un appartamento vuoto, a fissare l'immagine dell'amata. Il testo, intenso e passionale, fu anche portato sullo schermo. A dirigerlo il grande regista francese Louis Malle, ma la riduzione cinematografica fu, purtroppo, sciatta e priva d'intensità. Al di là della tessitura narrativa del romanzo, quello che mi colpì era l'inquietante interrogativo posto dall'autrice. Quando è "giusto" morire; quando si è al culmine del successo o prima dell'inevitabile china discendente?

Diego Armando Maradona è nato il 30 ottobre del 1960. Nella sua folgorante carriera di calciatore è stato eletto "Sportivo argentino del secolo" e proclamato, secondo l"Internet FIFA Award", il più grande calciatore di tutti i tempi. Il suo secondo gol contro l'Inghilterra è stato scelto come il più bel gol della storia del calcio. E' notizia di questi giorni che Dario Herman Oreca, un suo tifoso accanito, ha depositato alla Corte Suprema di Buenos Aires un "habeas corpus", un esposto con questa motivazione: "La dittatura dei medici e degli psichiatri non può prendere il posto della dittatura dei militari."

Diego vuole ritornare a Cuba ma i medici e gli psichiatri che lo tengono "forzatamente" in cura sanno che se ritornasse nell'isola di Fidel, l'asso argentino riprenderebbe la vita di sempre: coca a volontà e donnine pronte a fare il girotondo intorno al suo letto. Credo che gli stessi sanitari siano consapevoli che, da un punto di vista psichiatrico, il provvedimento del trattamento obbligatorio non possa essere adottato in eterno. Maradona lancia appelli disperati ma ha un cuore malandato, è iperteso, è in forte sovrappeso ed è già stato salvato per i capelli due volte, in sala di Rianimazione. Le prospettive non sono rosee e la stampa, invece di innalzare una cortina di silenzio su queste drammatiche vicende, pubblica, in prima pagina, la foto di spalle di una donna nuda che giace nel letto con il "pibe de oro". Che triste epilogo per chi aveva ottenuto un riconoscimento dall'Università di Oxford in qualità di "Maestro ispiratore dei sognatori."

Ed in questo gioco al massacro, tutti gli puntano il dito contro. Ma chi è colpevole della sua discesa negli inferi?

I settimanali scandalistici. Hanno frugato, impunemente, in tutti questi anni, nella sua vita privata. Pur di avere un'istantanea che immortalasse un suo bacio rubato o la confessione della starlette di turno, i direttori dei settimanali rosa non hanno badato a spese.

Cristina Sinagra. Quell'appariscente bionda quella notte fatale, decise "per forza" di volere un figlio dall'asso argentino. Diego amava i bambini ed era ambasciatore dell'UNICEF nel mondo. Scoppiato lo scandalo, fu costretto ad abbandonare quella carica. Trascinato davanti ai tribunali, fu "condannato" ad una paternità che era soltanto biologica.

Corrado Ferlaino. Gli aveva promesso che lo avrebbe lasciato andare via dopo la vittoria in Coppa UEFA. Si rimangiò la parola, pur sapendo che Diego era circondato da squallidi personaggi che lo rifornivano di coca e di donnine facili. Trascorsi molti anni, posso finalmente, svelare un piccolo retroscena. Una mattina, Ferlaino mi chiese se al Secondo Policlinico esisteva una struttura attrezzata per il recupero dei tossicodipendenti. Il suo appello disperato non era (solo) quello di un presidente che temeva di perdere la sua miniera d'oro, ma era anche quello di un "padre" disperato che voleva, a tutti i costi, stanare "suo figlio" dal maledetto tunnel della droga. Risposi che la nostra clinica non era il luogo idoneo e dichiarai la mia disponibilità ad andare in Argentina per convincere Diego a rientrare in Italia. Al tempo, Maradona pescava tranquillo alle rive di un fiume. Non se ne fece più nulla.

Jorge Cyterszpiler, Guillermo Coppola e tutti i faccendieri, camorristi e mascalzoni. Dopo averlo munto come una mucca, lo hanno sfruttato e sono divenuti complici delle sue scorribande notturne.

E che dire, della pressione dissennata, ininterrotta ed asfissiante di tutti i tifosi napoletani e dei commenti di certi intellettuali con la puzza al naso. Qualche tempo fa, lo scrittore Manuel Vazquez Montalbàn scrisse di lui: "Egli ha incarnato la mistica dell'emancipazione sottoproletariata. Dissipativo e arrogante come gli Anni Ottanta."

Eppure la storia della sua infanzia, vissuta nella povertà aveva intenerito il mondo ed il suo fare guascone lo aveva reso simpatico ed invidiabile.

Al suo arrivo a Napoli, dichiarò: "Voglio diventare l'idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io quando vivevo a Buenos Aires." Ed era sincero, come lo è sempre stato in tutta la sua vita.

Diego sniffava già ai tempi di Barcellona. Nell'ultimo filmato choc, con le guance rigate dalle lacrime e gonfio come non mai, lo ammette senza più reticenze. Il suo viso è teso, angosciato. E' la paura di morire che gioca questi brutti scherzi. Lo sappiamo bene noi psichiatri, chiamati sempre più spesso al capezzale di ammalati post-infartuati e ricoverati nelle Unità Coronariche. Quei pazienti dovrebbero restare, in via precauzionale, a riposo ed invece, in preda ad un'angoscia profonda, si agitano, si staccano le flebo e non riescono a star fermi.

"Autofocus" è un film, duro, spietato e che ti toglie il respiro. Diretto da Paul Shrader, sembra la storia di Diego. Narra della fulminante ascesa di un attore televisivo, dalla faccia tenera e pulita come un bambino. Raggiunto il successo, brucerà, inesorabilmente, la sua carriera ossessionato dai festini e dal sesso sfrenato.

Si è sempre detto che la ragione dell'accanimento dei media era perché Diego aveva osato attaccare Havalange, Matarrese e tutti gli altri potenti signori del calcio. Irriso e sbeffeggiato da quella stampa che ha riportato solo qualche trafiletto sullo scandalo dei calciatori della Juventus dopati. Maradona è sempre stato paragonato (in negativo) ad altri due grandi numeri dieci: Pelè e Michel Platini. Ma i media hanno sempre taciuto che la "perla nera" si era ridotto a fare il pupazzo di Blatter e che l'asso francese, abbia le mani in pasta in tutti i miliardari affari del pallone.

Diego è stato spesso accusato di non aver saputo "riciclarsi" e di non aver intrapreso come Franz Beckenbauer la carriera di CT, come Josè Altafini quella di commentatore televisivo o come Gigi Riva quella di dirigente sportivo. Ma Diego ha sempre detto pane al pane e vino al vino e non avrebbe mai ceduto ai compromessi e alle combine.

In realtà, dietro queste critiche di facciata, per l'immaginario collettivo, Diego Armando Maradona non potrà mai essere assolto. La sua colpa è quella di aver privato, prematuramente, il popolo dei calciofili, delle sue funamboliche giocate. Baciato dal Dio Eupalla, Diego aveva il "sacro" dovere di custodirsi. Per i tifosi che assiepavano gli stadi, le sue caviglie, i suoi polpacci erano preziosi al pari di uno stradivario, di una scultura di Michelangelo, di un dipinto del Caravaggio. Il suo corpo non gli apparteneva più; era diventato patrimonio di tutta l'umanità.

Sul braccio, Diego ha tatuato il volto di Ernesto "Che" Guevara. Speriamo che il medico argentino gli porti fortuna.

Nell'attesa, non dimenticherò mai quello che il suo amico Francis Cornejo disse di lui: "Se Diego si trova ad una festa di gala vestito di bianco e vede arrivare un pallone infangato, lo stopperà di petto."

 

da "La Voce della Campania" - Numero 8- Settembre 2004

 

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