Lock Out
Ci sono dei film che lasciano aperti dei piccoli varchi dentro i quali lo
spettatore si rifugia e ristora. Basta uno sguardo penetrante in macchina della
protagonista, un botta e risposta che mette sprigiona felicità ed allegria, una
brusca accelerazione della narrazione che ti coglie di sorpresa, un lato
nascosto di un personaggio che improvvisamente salta fuori e, chi è in sala, al
termine della fruizione della pellicola, se ne torna a casa, contento, perché sa
che custodirà dentro di sé, nel tempo,
gelosamente, quel
dono. Ci sono altri film che, seppur onesti e sinceri, non sono dotati di tocco
magico e finiscono, inevitabilmente, per non arricchire l’immaginario dello
spettatore.
Appartiene a questa seconda categoria il fanta-action
di James Mather e di Stephen St. Leger, prodotto dalla Factory di Luc Besson. La
pellicola, ambientata in un futuro non troppo lontano, narra della figlia del
Presidente degli Stati Uniti in orbita nello spazio ed in una navicella di
massima sicurezza, gremita di centinaia di detenuti pericolosi. Come prevedibile
i cattivi si ribellano, la pupa è presa in ostaggio e Snow, ex agente della CIA,
deve correre in suo soccorso. Nel rispetto del genere, il film, virato di un blu
accattivante, è un susseguirsi di scazzottature, di proiettili che, come in un
acquazzone invernale, vengono giù a scroscio, di un duro che non molla mai e che
ha sempre la battuta pronta e di un inaspettato (?) finale. Altro da segnalare?
L’assenza di colonna sonora nel film. Risultato? Allo spettatore non rimane
nemmeno una canzone accattivante o un motivetto da fischiettare all’uscita del
film.
Recensione pubblicata su Segno Cinema N 183 sett-2013