Intervista a Luigi
Lo Cascio
E’ letteralmente ossessionato dal fatto
che non è possibile riportare fedelmente “su carta” quello che dichiara e che
possano travisare/manipolare a fini giornalistici le sue dichiarazioni. Luigi Lo
Cascio (interprete di film “cult” come “I cento passi” e “La meglio gioventù”)
ammette di non amare affatto le interviste e di “concedersi” ai giornalisti
della carta stampata solo quando deve lanciare un suo film. Abbandonate
“magicamente” queste sue difese ed quasi magicamente, inizia a raccontarsi, in
maniera ironica e scanzonata:
“Ho iniziato con il teatro o per meglio
dire con il cabaret. Il mio gruppo si chiamava “Le ascelle” e facevamo della
satira. Poi mi sono reso conto che avevo bisogno di “studiare” e mi sono
iscritto all’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, l’unica accademia non
privata che c’è in Italia, dove si pagava una tassa universitaria. Adesso ho
raggiunto il metro e settanta ma fino ai 16-17 anni ero un metro e cinquanta.
Non avevo donne, non piacevo, le ragazze non mi vedevano neanche perché ero al
di sotto del loro angolo visuale. Le mie sorelle mi chiamavano “topolone”
anche perché non mi facevo mai fotografare. Credo che non esistano mie
foto nel periodo dieci-trent’anni. Il primo film che vidi si chiamava “La gang
dei dobermann colpisce ancora”. Era un film con dei cani che facevano delle
rapine. Eravamo cinque figli e quello fu il primo film che vedemmo con tutta la
famiglia. Da allora sono rimasto terrorizzato dai cani. Il film era gratis
perché tra il primo ed il secondo tempo vendevano delle enciclopedie. Il secondo
film che vidi fu “Gesù di Nazareth” di Zeffirelli, un film anche bello ma durava
sei ore! Il terzo film che ho visto era “Xanadù”, con Olivia Newton-John e lo
vidi con una ragazza a cui avevo telefonato ed un altro ragazzo che lei aveva
invitato. La mia amica pomiciò per tutta la durata del film con l’altro e per me
quel film divenne terribile.”
Come è accaduto a tanti altri attori
l’inizio della sua carriera cinematografica avvenne quasi per caso.
“Non avevo un book, né un mio agente di
cinema. L’attore che fa mio padre nel film è mio zio ed è un attore. Una sera
era a cena con Marco Tullio Giordana. Mancavano tre settimane all’inizio delle
riprese de “I cento passi” e Giordana gli disse che non riusciva a trovare
l’attore protagonista. Mio zio gli disse che aveva un nipote attore. Cercò il
numero della sorella e mi chiamò a notte tarda a casa. Poi feci il provino con
il regista ed andò bene e così nacque il mio primo film. “I cento passi” era un
film difficile perché non era recitato da attori famosi e perché nel racconto
non c’era una storia d’amore. Intanto c’era chi voleva che Peppino s’innamorasse
di qualcuno e che avesse una storia ma su questo sia il produttore che Giordana
non hanno ceduto. E poi la fine triste. Ma perché dicevano questo finale
triste?”
Sincero ed onesto non ama vestire i
panni dell’attore rivoluzionario, con il pugno sempre chiuso, né di essere
confuso con i protagonisti dei film che interpreta.
“Come tipo d’atteggiamento verso il mio
mestiere cerco di separare fortemente me dai miei personaggi che faccio e mi fa
piacere confrontarmi con cose che non mi somigliano. Una volta, poi una signora
mi incontra e mi dice:“E’ stato bravissimo ne “I cento passi” ma come ha
recitato da bambino in “Nuovo cinema Paradiso…”
Costantemente ripiegato su stesso ed
alla ricerca della propria identità di attore, confessa:
“Gli attori venivano seppelliti fuori le
mura delle città perché si credeva che interpretando più personaggi erano come
“indemoniati”. Ad un cardiochirurgo si fanno domande sull’intervento, sulla
prognosi, sulle possibili complicazioni. Non gli si chiede perché fa il
cardiochirurgo, che cosa l’ha spinto a fare questo mestiere? Agli attori questo
viene chiesto continuamente. Il mestiere dell’attore è un mestiere difficile da
definire: “l’attore è uno che fa la parte di un altro” Basta? Nelle interviste
ti dicono: “Fai l’attore perché sei narcisista?” ed io spesso, per comodo
rispondo: “Si” perché non si arriva sempre a contrattare una risposta. Più che
“narcisista”, direi che un attore è un esibizionista. Narciso è uno che si ama,
uno a cui basta la propria immagine e l’abbraccia mentre l’attore ha bisogno
dello sguardo dell’altro, non gli basta il suo, vuole che glia altri gli dicano
che lui è bravo, è importante e che l’ha emozionato. Si dice normalmente che
l’attore ha un vuoto, ha una mancanza che lo spettatore può colmare. L’attore di
teatro è totalmente responsabile di quello che fa in scena, sei tu, sei tu
davanti agli altri mentre al cinema si soffre molto di quello che è la
frammentazione dei piani. Sei frammentato nell’inquadratura e nel montaggio. Tu
scompari e la forma finale non è quella che tu prevedi ma quella che il regista
dà. Nel cinema la cosa positiva è quello che fai dei personaggi inediti mentre a
teatro, quasi sempre ti confronti con dei testi già scritti, con dei classici e
la tua interpretazione è come fai Amleto. Al cinema si costruisce un personaggio
che prima non esisteva.”
Per l'intervista completa si rimanda al volume "Psycho cult" di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)