Kramer contro Kramer (Kramer vs. Kramer)

di Robert Benton con Dustin Hoffman, Meryl Streep, Justin Henry - USA – 1979 –Durata 104’

 

New York. Ted Kramer (Dustin Hoffman), agente pubblicitario di successo immerso costantemente nel lavoro, felice e festante, ritorna a casa e comunica alla moglie Johanna (Meryl Streep), con la quale è sposato da otto anni, che gli hanno assegnato la direzione di una importante campagna pubblicitaria. Lei, frustrata ed insoddisfatta, non batte ciglio e gli confessa che la sua vita sta andando a rotoli e che, per ritrovare se stessa, ha deciso di lasciare lui e Billy (Justin Henry), il loro bambino di sei anni. Ted si prende cura amorevolmente del piccolo, prova, invano, a dividersi tra lavoro, riunioni scolastiche e fornelli ma non riuscendo a garantire gli standard di produzione richiestogli, è licenziato ed è costretto ad accettare un lavoro meno retribuito.

Dopo le iniziali difficoltà, Ted e Billy imparano insieme a spadellare in cucina, trovano il giusto ritmo e sembrano perfettamente affiatati ma Johanna rimette insieme i cocci della propria vita e diciotto mesi dopo ricompare all’orizzonte, più matura e determinata di prima, e chiede l’affido del bambino. Nel corso della deposizione in tribunale, dopo aver accennato al giudice al periodo nel quale si sentiva smarrita e spaesata, ribadisce con forza la voglia di ritornare a fare la mamma a tempo pieno; Ted prova a far valere le sue ragioni ma il giudice riaffida il piccolo a Johanna. In un finale, lasciato volutamente aperto, comprende che per il bene del piccolo è preferibile non sradicarlo dall’affetto di Ted.

Film furbetto, strappalacrime ed apertamente schierato dalla parte dei papà che sbancò al botteghino e nella notte degli Oscar, divenuto simbolo di quel “riflusso” tipico degli Anni Ottanta. Benton mostra una coppia (fin troppo controllata) che non si azzanna in pubblico e né in privato, che non utilizza il figlio come alibi per rinfacciarsi, reciprocamente torti ed accuse e che smussa e leviga (fin troppo) sentimenti di odio e di vendetta tra i due, al punto che, per tutto il film, né Ted, né Johanna si rivolgono al figlio mettendo in cattiva luce l’ex coniuge. Il regista relega sullo sfondo la sofferenza del piccolo Billy e lascia sottotraccia i penosi contraccolpi psicologici che ha dovuto subire per colpa delle “insane” decisioni dei suoi genitori. Benton mescola alla perfezione dramma e commedia e punta tutto sulle vibranti e commoventi deposizioni di Johanna che in aula, al giudice dichiara: “Io ho lasciato mio figlio e so bene di aver fatto una cosa tremenda. Credetemi, se vi dirò che ne sentirò l’amarezza per tutta la vita ma, per arrivare a lasciarlo, dovevo essere convinta che era l’unica soluzione e che era la cosa migliore per lui. In quella casa ero incapace di sentirmi viva e proprio non riuscivo a vedere un’alternativa. Perciò pensai che la cosa migliore fosse non portarlo via con me. Comunque io da allora ho avuto con chi parlare ed ho lavorato tanto, tanto, tanto per essere un essere umano completo. E non credo che dovrei essere punita per questo, non credo affatto che per questo il mio bambino dovrebbe essere punito. Bill ha soltanto sette anni, ha bisogno di me. Io non dico che non abbia bisogno di suo padre ma sono convinta che abbia più bisogno di me. Sono stata la sua mamma per quasi cinque anni e mezzo e Ted ha avuto quel ruolo per diciotto mesi. Sono sua madre, sono sua madre.” Non meno efficace la replica di Ted che, dopo aver sacrificato successo ed ambizioni, con tutte le proprie forze, reclama l’affido del bambino: “Mia moglie non faceva che dirmi: perché una donna non può avere le stesse ambizioni di un uomo? Forse hai ragione, forse sono riuscito a capirlo. Ma per lo stesso principio io vorrei sapere  quale legge dice che una donna è un genitore migliore, semplicemente in virtù del suo sesso? Ho avuto tempo di pensarci molto. Cos’è che fa un buon genitore? E’ qualcosa che ha a che fare con la costanza, con la pazienza , che ha che fare con l’ascoltarlo o con il fingere di ascoltarlo, anche se ti manca la forza di ascoltarlo, ha a che fare con l’amore, come diceva lei? Io non so dove è scritto il fatto che una donna ha l’esclusiva, ha il monopolio e che l’uomo difetta di certi sentimenti che ha la donna. Il bambino ha una casa con me, l’ho fatta meglio che potevo. Non sono un genitore perfetto e qualche volta non ho la pazienza e, a volte mi dimentico che è un ragazzino, ma sono lì. Io mi alzo la mattina, facciamo colazione insieme, poi andiamo a scuola, parliamo, abbiamo costruito una vita insieme e ci vogliamo bene. Se tutto ciò verrà distrutto, , essere irreparabile. Joanna non lo fare, ti prego, non farglielo per la seconda volta.” Il planetario successo del film, non esente da un eccesso di sentimentalismo, fu legato alle convincenti interpretazioni di Hoffman e di Streep, allo script ammiccante, dosato fin nei minimi particolari ed alla sua capacità di dar voce a quel disagio sociale, tipico di quegli anni, che vedeva le donne affermarsi sempre più in campo lavorativo e che determinava l’automatico cambiamento del ruolo del maschio in famiglia, costretto a dar una mano in casa e ad occuparsi maggiormente in prima persona dei figli. Nonostante la messe di premi che raccolse, la pellicola non è essente da nei e da imperfezioni; le scene ambientate all’interno dell’aula di tribunale, seppur ad alta gradazione emotiva, finiscono per rallentare, inevitabilmente, la scrittura filmica e per fornire alla pellicola un passo televisivo. Il titolo originale rimanda alla formula processuale che vede contrapposti i due ex coniugi. Dal romanzo di Avery Corman.

 

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