Mario Sesti

"Innanzitutto, voglio dire subito che non so se ho capito questo libro... Nel senso che mi é piaciuto ma per delle ragioni che non mi sembrano quelle che sono evidenti nel titolo... Non ci vedo un rapporto di qualsiasi tipo, tra la cura e la psicoterapia. Innanzitutto un libro molto originale, nel senso che é un testo saggistico che, per la maggior parte é costituito di parti "non originali". E' come se le parti non originali fosse una sorta di didascalia pescato in un bacino comune che é l'immaginario cinematografico. Il termine immaginario cinematografico" é un termine molto abusato ed io non ho mai trovato una definizione "scientifica" davvero convincente...Di questo libro mi piace esattamente questo gesto che, non é scritto nelle parole, con il quale, ad un certo punto, si inizia un capitolo, si danno delle premesse e, come in una sorta di piccolo videogame, basta mettere un'ascissa, una coordinata  e da lì, non so... "cinema e cibo", escono fuori tante immagini che appartengono a quell'immaginario: "Ah, si è vero, l'abbiamo visto..." Mi piace molto anche il modo in cui, viene usato con una descrizione, quasi, da naturalista (non ci sono, per esempio, quelle descrizioni di movimenti di macchina, di analisi che piacciono tanto ai semeiotici e che rendono così faticosa la lettura e che invece sono così belli, quando il film sono così straordinariamente belli e naturali), il fatto che si riportino dei dialoghi, quasi con una perizia stenografica...E' come se si dicesse che, questo qualcosa può essere richiamato attraverso le parole, pur essendo tratti, in sostanza, da immagini, semplicemente perché tutti noi partecipiamo in questo qualcosa e tutti noi siamo in grado di sapere che quando lui dice "cinema e psicoanalisi", ci vengono in mente tre o quattro psicoanalisti del grande schermo. C'é un 'approccio quasi "comportamentista" nel modo in cui le sequenze sono descritte...come se fossero dei piccoli fenomeni naturali...C'é un approccio quasi da naturalista e i film sono oggetti, come delle piante, le sequenze come delle suppellettili, come degli spazi, come delle materie e possono essere descritti con cura. La maniera é quella di trasferire i dialoghi...Poi c'è il riassunto, la trama, spesso molto più scrupolosa di quanto in genere non si faccia, per esempio, in questi casi nei libri di cinema, dove almeno che non si tratti di dizionari e di enciclopedia non c'é bisogno di un'analitica proprio precisa.. Se devo essere sincero, non capisco come questo  centri con la cura, però mi piace...Mi comunica un'intimità con il cinema, che appartiene ed ha a che fare con il conscio e con l'inconscio collettivo...Il tuo libro somiglia un po' ad una sceneggiatura...La scelta del linguaggio, poi, di questo libro, l'idea di parlare di cinema, in questa maniera é più forte, secondo me, di quello che dovrebbe essere il suo contenuto. Del resto, la scelta linguistica,  dei rapporti tra cinema e psicoanalisi non è mai stata molto brillante... Mi veniva in mente Calvino... Scrisse un meraviglioso articolo dopo la morte di Bunuel e disse una cosa che mi è rimasta molto impressa e che mi sembra giustissima per capire il cinema...Disse: " Bunuel non era solo uno che aveva fatto dei film e che aveva analizzato l'inconscio collettivo ma aveva esteso l'immaginazione"...Il cinema é una forza d'abrasione, é una violenza percettiva. Dopo il cinema, tutto ciò che è stato un linguaggio per immagini e suoni, non ha avuto mai la stessa violenza, dalla televisione fino ad Internet: la capacità di suoni e d' immagini di colpirci, di attirarci, di monopolizzare la nostra attenzione, di rimanerci conficcati nella memoria per sempre...Non esiste nulla nella storia dell'umanità, come il cinema che é dilagato come un'epidemia; In meno di un anno, il cinema é dappertutto, non solo a Parigi e a Londra, ma é a Bombay, a Melbourne... Ed è evidente che questa forza non poteva non avere riflessi sulla scienza dell'inconscio. Io credo che il libro più bello sull'argomento sia quello di Christian Metz che, seguendo il tracciato freudiano e lacaniano, dice che le affinità tra cinema e psicoanalisi non sono per quanto riguarda il contenuto, la sua capacità di narrazione ma perché c'é una profonda affinità nella sintassi: spostamento e condensazione...Questo libro prende una tangente completamente diversa... Ed é come se desse per scontato tutto questo e partisse dal presupposto che, questo legame é così forte che basta un minimo stimolo per produrre un massimo risultato... Basta mettere in comunicazione la nostra sensibilità, la nostra memoria, la nostra cultura, la nostra esperienza con l'immaginario cinematografico perché questo produca, immediatamente, un cortocircuito. Questo non viene mai detto nel libro, non è mai oggetto di una frase, di un'analisi, quindi é ancora più forte, perché detto in maniera obliqua. Si dà per scontato questo ed il risultato di questo é che si può scrivere questo libro. Si può scrivere un saggio su "cinema e cibo", facendo delle didascalie, introducendo dei dialoghi e semplicemente farne una descrizione, un resoconto materiale e formale di tutte le sequenze che parlano di questo argomento. Questo mi ha stupito, mi piace molto, e mi sembra che sia qualcosa di molto originale..."

 

Roma 21.2.2002

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