"Innanzitutto,
voglio dire subito che non so se ho capito questo libro... Nel senso che mi é
piaciuto ma per delle ragioni che non mi sembrano quelle che sono evidenti nel
titolo... Non ci vedo un rapporto di qualsiasi tipo, tra la cura e la
psicoterapia. Innanzitutto un libro molto originale, nel senso che é un testo
saggistico che, per la maggior parte é costituito di parti "non
originali". E' come se le parti non originali fosse una sorta di didascalia
pescato in un bacino comune che é l'immaginario cinematografico. Il termine
immaginario cinematografico" é un termine molto abusato ed io non ho mai
trovato una definizione "scientifica" davvero convincente...Di
questo libro mi piace esattamente questo gesto che, non é scritto nelle parole,
con il quale, ad un certo punto, si inizia un capitolo, si danno delle premesse
e, come in una sorta di piccolo videogame, basta mettere un'ascissa, una
coordinata e da lì, non so... "cinema e cibo", escono fuori
tante immagini che appartengono a quell'immaginario: "Ah, si è vero,
l'abbiamo visto..." Mi piace molto anche il modo in cui, viene usato con
una descrizione, quasi, da naturalista (non ci sono, per esempio, quelle
descrizioni di movimenti di macchina, di analisi che piacciono tanto ai
semeiotici e che rendono così faticosa la lettura e che invece sono così
belli, quando il film sono così straordinariamente belli e naturali), il fatto
che si riportino dei dialoghi, quasi con una perizia stenografica...E' come se
si dicesse che, questo qualcosa può essere richiamato attraverso le parole, pur
essendo tratti, in sostanza, da immagini, semplicemente perché tutti noi
partecipiamo in questo qualcosa e tutti noi siamo in grado di sapere che quando
lui dice "cinema e psicoanalisi", ci vengono in mente tre o quattro
psicoanalisti del grande schermo. C'é
un 'approccio quasi "comportamentista" nel modo in cui le sequenze
sono descritte...come se fossero dei piccoli fenomeni naturali...C'é un
approccio quasi da naturalista e i film sono oggetti, come delle piante, le
sequenze come delle suppellettili, come degli spazi, come delle materie e
possono essere descritti con cura. La maniera é quella di trasferire i
dialoghi...Poi c'è il riassunto, la trama, spesso molto più scrupolosa di
quanto in genere non si faccia, per esempio, in questi casi nei libri di cinema,
dove almeno che non si tratti di dizionari e di enciclopedia non c'é bisogno di
un'analitica proprio precisa.. Se devo essere sincero, non capisco come
questo centri con la cura, però mi piace...Mi comunica un'intimità con
il cinema, che appartiene ed ha a che fare con il conscio e con l'inconscio
collettivo...Il tuo libro somiglia un po' ad una sceneggiatura...La scelta del
linguaggio, poi, di questo libro, l'idea di parlare di cinema, in questa maniera
é più forte, secondo me, di quello che dovrebbe essere il suo contenuto. Del
resto, la scelta linguistica, dei rapporti tra cinema e psicoanalisi non
è mai stata molto brillante... Mi veniva in mente
Calvino...
Scrisse un meraviglioso articolo dopo la morte di Bunuel e disse una cosa
che mi è rimasta molto impressa e che mi sembra giustissima per capire il
cinema...Disse: "
Bunuel non era solo uno che aveva fatto dei film e che aveva analizzato
l'inconscio collettivo ma aveva esteso l'immaginazione"...Il cinema é una
forza d'abrasione, é una violenza percettiva. Dopo il cinema, tutto ciò che è
stato un linguaggio per immagini e suoni, non ha avuto mai la stessa violenza,
dalla televisione fino ad Internet: la capacità di suoni e d' immagini di
colpirci, di attirarci, di monopolizzare la nostra attenzione, di rimanerci
conficcati nella memoria per sempre...Non esiste nulla nella
storia
dell'umanità, come il cinema che é dilagato come un'epidemia;
In
meno di un anno, il cinema é dappertutto, non solo a Parigi e a Londra, ma é a
Bombay, a Melbourne... Ed è evidente che questa forza non poteva non avere
riflessi sulla scienza dell'inconscio. Io credo che il libro più bello
sull'argomento sia quello di Christian Metz che, seguendo il tracciato freudiano
e lacaniano, dice che le affinità tra cinema e psicoanalisi non sono per quanto
riguarda il contenuto, la sua capacità di narrazione ma perché c'é una
profonda affinità nella sintassi: spostamento e condensazione...Questo libro prende
una tangente completamente diversa... Ed é come se desse per scontato tutto
questo e partisse dal presupposto che, questo legame é così forte che basta un
minimo stimolo per produrre un massimo risultato... Basta mettere in comunicazione
la nostra sensibilità, la nostra memoria, la nostra cultura, la nostra
esperienza con
l'immaginario cinematografico perché questo produca, immediatamente, un cortocircuito.
Questo non viene mai detto nel libro, non è mai oggetto di una frase, di
un'analisi, quindi é ancora più forte, perché detto in maniera obliqua. Si dà per scontato questo
ed il risultato di questo é che si può
scrivere questo libro. Si può scrivere un saggio su "cinema e cibo",
facendo delle didascalie, introducendo dei dialoghi e semplicemente farne una
descrizione, un resoconto materiale e formale di tutte le sequenze che parlano di questo
argomento. Questo mi ha stupito, mi piace molto, e mi sembra che sia qualcosa di
molto originale..."
Roma 21.2.2002
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