Alberto Castellano

 "Da "addetto ai lavori", posso dirti che abbiamo a che fare con molti libri di cinema che continuano ad uscire...Da anni escono molti libri di cinema spesso vuoti, ripetitivi, bizzarri, stravaganti... però c'è una certa stanchezza di tipo tradizionale, dei malloppi, dei saggi polverosi che non sempre si leggono con piacere, un po' faticosi, più da consultare che da leggere. Questo libro non viene da un critico, da un saggista.  E forse proprio per questo é un libro riuscito... Tu sei uno che fa lo psicoterapeuta di professione ma con questo "vizio", il cinema, una passione, un'ossessione che coltivi da anni, sei riuscito a mettere insieme quelle che sono le tue passioni. E' molto raro trovare un libro, uno studio che sia al tempo stesso profondo e leggero, rigoroso e divertente, scientifico ed utile. Alcuni libri sono molto belli ed interessanti da leggere ma sono difficili da consultare...Questo é un libro che in ogni capitolo ci sono una quantità di note filologicamente impeccabili... la filmografia e la bibliografia, un lavoro da topo di biblioteca e di cineteca...Poi anche il taglio di tipo ironico e divertente mi é piaciuto e credo dai titoli che hai dato ai capitoli "Un trauma chiamato desiderio", "Pane, amore e psichiatria", ti sei anche divertito a fare questo libro...A proposito del libro precedente ("L'analista in celluloide" N.d.R) che aveva un altro approccio più timido, più da "opera prima",questo libro l'ho visto come un libro di chi è più padrone della materia ma anche come un'occasione per ricomporre nella sua memoria dei frammenti sparsi di cinema... La cosa più importante del tuo libro che viene fuori é che tra la psichiatria ed il cinema c'é un'interazione più radicata e profonda di quello che spesso si crede. E' anche vero che tu sei uno psicoterapeuta un po' anomalo da questo punto di vista...Io conosco non pochi dei tuoi colleghi e non tutti hanno l'atteggiamento e la disponibilità che tu hai per il cinema...Anzi ci sono alcuni operatori della psichiatria che hanno avuto nei confronti del cinema un atteggiamento di diffidenza e di ostilità, considerandolo addirittura un mezzo pericoloso altro che terapeutico. E' chiaro che il campo è molto vasto e che il concetto di "terapeutico" del cinema va preso per le molle ed è anche molto delicato però é un libro che si fa leggere e che diverte....Tra l'altro un tratto originale del libro é che riporti brani interi di dialoghi, estrapolati dai film che ci accompagnano e ci riconducono subito a quello che è comparso sullo schermo. Alla fine li ho visti un po' come dei brandelli di un racconto unico del rapporto tra il cinema e la psichiatria che evidenziano, in fondo, le ispirazioni visive della psichiatria e le potenziali relazionali del cinema é questo secondo me il nodo...Un'altra cosa che mi affascinava del tuo libro è quando parli della "Sindrome di Sheherazade"... il fatto che per il tuo mestiere di psicoterapeuta, sei "condannato" a raccontare delle storie...In altre parole, chiarisci subito anche poi il nesso fra la vocazione dell'essere "costretto" a raccontare delle storie ed il cinema e la letteratura che, sono poi le due forme "costrette" a raccontare delle storie...Ovviamente il cinema é uno strumento più duttile per essere utilizzato a scopo "terapeutico"... Proprio in questi giorni stavo leggendo il libretto di Proust "Il piacere della lettura" e lui parla proprio delle potenzialità terapeutiche della lettura...Dice però che é importante se si usi la lettura per risvegliare la vita spirituale ed individuale e non per sostituirsi... Poi fa un discorso sulla dimensione  solipsistica della lettura... Lui queste cose le ha scritte all'inizio del Novecento quando il cinema non era ancora nato..."

 Napoli 31.1.2002

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