Lella Ravasi Bellocchio
Senatore: Più
che un commento sul volume "Curare con il cinema", vorrei chiederti di
allargare il campo, partendo proprio dalle tue esperienze cliniche...
Ravasi: Il
tuo libro che ho trovato godibilissimo mi ha spinto ad interrogarmi sulla
narrazione in analisi e sul "come" ci si cura con il cinema...Hillman
ne "Le storie che curano" dice che "la terapia è
narrazione". Quando una persona si rivolge ad un'analista é perché crede
che sia possibile, attraverso un incontro di essere ascoltato. A me succede che
quando una persona mi racconta la sua storia io "vedo". Mi racconta un
sogno e io mi chiedo spesso di portarmi delle fotografie perché mettono in
movimento nel paziente e in me, un montaggio. Io me lo immagino e poi me le
confronto con l'immagine reale che ha portato il paziente. A me quello che può
succedere, spontaneamente, è di "fare del cinema" da mattina a sera,
di costruire un racconto su questo...Se io sono così coinvolta in queste cose,
cosa trasmetto all'altro? Se un paziente mi porta un sogno di un neonato
fasciato nelle bende e mi associa...a me, invece, me ne viene in mente
altre...Mi ricordo di una campana di vetro e di un santo sotto una campana di
vetro...E cosa centra con la storia del paziente? E' una mia immagine ed io
provo a restituire questa mia visione. Per esempio, facciamo che io sono
perseguitata da quella di "Rosemary's baby"...Io mi interrogo su come
questo paziente mi muove l'immagine di "Rosemary's baby". E questo è
il transfert ed il controtransfert...E come si lavora sulle immagini di
transfert e sul contrasfert? Un'analista o è un ripetitore di formule o lavora
sulla relazione, partendo dalla esperienze del mondo e quindi anche partendo dal
mondo...MI interessano sempre meno i testi sacri e preferisco leggere una
sceneggiatura...Mi interessa andare oltre il già dato...anche perché ogni
persona che si presenta è una nuova pista. Solo così è una nuova
co-narrazione e produce un'evoluzione. Spesso le persone arrivano raccontando in
maniera molto "sciatta" le quattro cose che hanno raccontato già ad
altri analisti...Spesso questi racconti di "non ricordo", sono rigidi
e banali: "Io a quattro anni...." Per non rimuovere il "non
ricordo" il paziente si affida a tutto...
Senatore: Mi
fai venire in mente che spesso ti capita di incontrare un collega ed il discorso
può scivolare su un paziente che hai in trattamento e che prima era stato in
cura da lui...E quando inizi a raccontare quello che il paziente ti ha narrato,
spesso l'altro collega inizia a dirti" Ma questo a me non lo ha mai
detto..." "Ah, questo non lo sapevo...." Continuando a parlare
scopri che state parlando quasi di due pazienti diversi...Ma come può succedere
tutto questo? Semplicemente perché nel corso del tuo lavoro terapeutico tu sei
riuscito a far rimuovere quei "non ricordi" che il paziente aveva
fatto scattare, difensivamente...
Ravasi: Un'altra
cosa che vorrei sottolineare è che non esiste un simbolo che vada bene per
tutti...La cosa più interessante è andare a vedere perché questo simbolo per
questa persona...Perché si seleziona un'immagine e non un'altra? Se uno sogna
una caverna perché deve essere per forza un'immagine del corpo femminile?
Bisogna andare a vedere perché le è venuta in mente. E se uno ha visto
"Il pianeta delle scimmie"? Il cinema ci porta nella storia
dell'universo collettivo Stando all'ultimo Freud, l'analisi è una costruzione
non è un dato...Freud nel suo ultimo scritto capovolge l'interpretazione per
simboli codificata e dice che non esiste il dato ma il costruito all'interno
della relazione...Questo costruito si nutre di tutte le immagini che sono nella
mente e nel corpo e nell'inconscio del paziente e dell'analista...
Milano 6 giugno 2002
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