"La
prima traccia per un possibile discorso sul tuo libro parte della presentazione di Gianni Canova che, mi ricorda, molto stranamente un testo di
Calvino per presentare "Tutti i film" di Fellini...Anche Calvino
parla dell'idea di un cinema che abbia la possibilità di lenire
le ferite della vita, le ferite che sulla vita lascia il tempo... Sappiamo
che tutta l'arte della riproduzione hanno al fondo di se,
come il tentativo di sospendere, di lenire, di ricompattare le
ombre della vita che fuggono, i sensi del tempo che si frantumano da noi...C'è
questa figura in qualche modo dominante e che
riguarda la ceramica, la pittura ... che è la figura della nostalgia, la
capacità in qualche modo nella riproduzione dello oggetto di trattenerlo presso
di noi perché non sfugga. E questa era anche l'idea di
Bazin quando scriveva "Che cos'è il cinema", cioè
"riuscire, in qualche modo, a trattenere, a vincere la morte attraverso
l'immagine e pur tuttavia, lasciando che
questa immagine, come dire, avesse una sua vita, una sua esistenza, nel tempo del
racconto cinematografico". Ed un
altro autore francese diceva che il cinema é "la morte al lavoro"...E
la possibilità di poter trattenere le figure della morte e, in qualche modo, di
respingerla attraverso il tempo che si ripresenta, attraverso la possibilità di
rivedere, attraverso la possibilità di fermare l'immagine o l'illusione
dell'immagine che può fermare il tempo, ci mette in contatto con un bellissimo
film di Truffaut che è "La camera verde" che mi sembra
sia la sua riflessione su quello che il cinema può essere...Un altro elemento
che mi sembra fondamentale per il cinema, credo sia la "sala
cinematografica" perché é un luogo di celebrazione, in qualche modo singolare...
Perché è
una prossimità senza conoscenza, è una comunità senza comunione, se non nel momento in cui il fascio di
luce colpisce lo schermo e noi, che non ci conosciamo, non sappiamo chi siamo, siamo sospesi nello
stesso
tempo del racconto e, in qualche modo, costretti a confrontarci, pur ignorando
l'uno dell'altro, con le stesse dinamiche di emozioni e di
esperienze che quella storia ci sta raccontando. E questo, ovviamente, accade solo nella sala buia...Però c'è il buio e c'è il
vuoto...L'atto iniziale del cinema sta lì e quel momento di sospensione
è irriducibile ed impossibile da eliminare...Non solo come
diceva Sorlin, c'è questo vuoto e questa attesa iniziale ma,
quando comincia un film, solitamente parte dal buio, parte dal
nero; é raro trovare il caso in cui c'è immediatamente luce...e questo mi fa pensare al grosso intreccio fra cinema e
psicoanalisi...Truffaut
diceva
che: "La vita é un'esperienza della sottrazione, il cinema è
un'esperienza dell'addizione... La vita è qualcosa che scende, il cinema è qualcosa che sale..." Secondo
Truffaut, la vita é qualcosa che scende (perché i ritmi
in qualche modo vanno lentamente
diminuendo, le pulsioni esistenziali si assottigliano) mentre il cinema
sale, tende in qualche modo ad una celebrazione epifenomenica, fino al
punto della conclusione. Non so se hai notato che, alla conclusione del
film, c'é l'abitudine del fermo immagine, dello stop di fotogramma... In
moltissimi film si utilizza questo vezzo e sull'ultima immagine bloccata
scorrono i titoli di coda. Quasi che, con questo stop di fotogramma, si avesse
la sensazione che il racconto finisse qui...C'è un divenire di vita oltre
questo frammento, ma la storia, la dimensione di narrazione che siete venuti a
celebrare in questa sala, si interrompe, c'è un tempo che è stato in qualche
modo completato, finito... Questo "tempo" che siamo andati a
condividere nella sala con altri è un tempo della sospensione del tempo
progettante. Noi abbiamo investito con un atto fiduciario colui che ci veniva a
raccontare una storia ( per questo quando i film non ci piacciono noi siamo
molti arrabbiati) e noi abbiamo sospeso il nostro tempo e abbiamo goduto, come
la definisce il filosofo Guido Fink, di una meravigliosa oasi del tempo,
che lui definisce "l'oasi della gioia": "Un luogo in cui,
sospese tutte le tensioni e sospesi tutti i meccanismi costruiti sull'attesa e
sul progetto, si possa godere del presente senza limitazioni e si possa
raccogliere di questo presente l'esperienza curativa del ricomporsi con se
stessi, con il proprio tempo interiore." Dopo aver letto il tuo libro, ricco di sterminate citazioni, (ti confesso che,
pur essendo uno che fa cinema da venti anni, mi sono un po'
vergognato, perché tu sei andato a cercare, con percorsi di scavo sotterraneo,
film che solo dopo averli letti, mi rendevo conto che erano riferimenti assolutamente precisi) vorrei farti un'osservazione che mi incuriosiva molto.
Nel tuo lavoro c'è una "patologia"... non so se è la forma di amore
estremo per il cinema o come tutti gli amori estremi è una sorta di tradimento.
Questo rimanda, naturalmente, al concetto di "cinefilia"...che è
questa passione sterminata per il proprio oggetto, fino al punto di nutrirsene
al limite dell'ossessione, della saturazione totale della memoria, anzi con la
paura che la memoria non possa contenere tutte le immagini possibili, che c'è
sempre una parte della nostra memoria che fa decadere l'oggetto per cui noi
siamo costantemente in attesa di poter catalogare, sistemare, dare un senso, una
sorta di cineteca ideale come la biblioteca di Babele, questo mi sembrava in
qualche modo un'ossessione, una gioiosa ossessione...Infatti, tu usi solitamente
"Mi veniva improvvisamente in mente", ed i film affiorano come una
sorta di memoria proustiana...La domanda che volevo farti é la cinefilia é un
amore estremo per il cinema o è una degenerazione del concetto d'amore? Non
c'è il pericolo di un'ossessione che finirà, inevitabilmente, disillusa
perché, come diceva Valery: "La carne è debole ed, ahimè, io ho letto
tutti i libri." Si, la carne è debole e c'è proprio un'incapacità
nostra di poter raccogliere tutto e di poter conservare tutto. La memoria è
selettiva, la memoria ha bisogno di vivere i propri lutti e di abbandonare le
proprie ossessioni e perderle. Nessuna cineteca ideale può contenere tutto il
cinema, non lo potrà fare e non è neanche giusto che lo faccia...Poi un'ultima
annotazione. Mi sembra che nel tuo testo c'è una presenza fortissima della
dimensione narrativa e degli elementi delle sceneggiature, riproposte con grande
attenzione e con grande precisione, ma mi sembra che ci sia una sorta di
sottovalutazione della dimensione forte del lavoro sulle architetture delle
immagini e sul valore che può avere anche dal punto di vista di riflessione
sulla psicoanalisi. A volte lo stile narrativo, lo stile iconografico, la scelta
di angoli di ripresa, la scelta di forme di montaggio, la scelta di un certo
tipo di colore, di ambientazione, di atmosfere che si costruiscono con il
dosaggio delle forme espressive quali la pittura, della scenografia, quello è
un territorio un po' sacrificato nel tuo testo, un territorio di smisurata
potenzialità ed una ricostruzione di una storia dell'immagine, con una valenza
o con un carico di lettura di variante psicoanalitica, credo non sia stata mai
tentata...
Linea d'ombra- Salerno Film Festival"
Salerno, 21.3.2002
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