Gianni e le donne

di Gianni Di Gregorio con Gianni Di Gregorio, Valeria de Franciscis Bendoni, Elisabetta Piccolomini, Teresa Di Gregorio, Michelangelo Ciminale, Alfonso Santagata – Italia -2011 – Durata 90’

 

Gianni (Gianni Di Gregorio), distinto sessantenne in pensione, vive a Roma con la moglie (Elisabetta Piccolomini) sua figlia Teresa (Teresa Di Gregorio) e Michelangelo (Michelangelo Ciminale) il fidanzato di quest’ultima, trasferitosi in pianta stabile da loro. Senza alcun affanno, il tranquillo, educato e disponibile Gianni trascina la propria vita facendo la spesa, portando a spasso il cane ed accudendo l’oppressiva, viziata e capricciosa madre novantenne (Valeria de Franciscis Bendoni), nobildonna decaduta. Ma quando s’affaccia in lui la consapevolezza di essere irrimediabilmente invecchiato, attratto ancora dal gentil sesso, prova a dare una svolta alla propria esistenza.

 Dopo il fulminante esordio di Pranzo di ferragosto, accolto positivamente sia dal pubblico che dalla critica, c’era molta curiosità per l’opera seconda di questo insolito sessantenne regista romano, affacciatosi solo nel 2008 dietro la mdp, dopo aver mosso, alla fine degli anni Ottanta, i primi passi come sceneggiatore ed aver firmato, come aiuto regista, sin dai tempi di Ospiti (1998), tutti i film di Matteo Garrone.

E se Pranzo di ferragosto, pur soffrendo di una certa staticità narrativa, aveva sorpreso per la delicatezza ed il garbo con la quale aveva affrontato il tema della quarta età, con Gianni e le donne, Di Gregorio, si conferma e, consolidando un proprio stile inimitabile e personale, confeziona una pellicola che ci riporta a quel candore e a quell’innocenza di un cinema di altri tempi. Utilizzando una struttura narrativa semplice ed elementare, il regista non ammanta la vicenda di mestizia e di tristezza, infarcendola con le amare riflessioni di chi vede, giorno dopo giorno, la propria vita sfiorire, né ci propone la scelta di chi, per negare l’avanzare della morte, si tuffa, compulsivamente, in una sfrenata e distruttiva sessualità. Intelligentemente e con un pizzico di sana ironia, Di Gregorio ci mostra il ringalluzzito protagonista che prova (senza successo) a sedurre Cristina, l’avvenente badante della mamma, Gabriella, un’amica desiderata da anni, Valeria, una sua vecchia fiamma ed, infine, una giovanissima adolescente che abita nel suo stesso palazzo.

Sin dalle prime battute s’intuisce però che non siamo dalle parti de La voglia matta, pellicola, diretta nel 1962 da Luciano Salce, che mostrava i turbamenti erotici di un quarantenne che s’invaghisce di un’adolescente esuberante e disinibita e che comprende (troppo tardi) di essere abbastanza vecchio per poter espugnare il suo cuore.

Di Gregorio, all’opposto, ci mostra, un protagonista de-erotizzato, ancora succube della madre indementita, che non si copre di ridicolo correndo dietro le sottane ma che, con disincanto ed un pizzico di rassegnazione, fa i conti con la realtà e, messi da parte le fantasie di poter trasformarsi in un irresistibile dongiovanni, sceglie di continuare a vivere un’esistenza senza scosse, fatta di piccoli gesti e di inveterate abitudini.

Con Gianni e le donne, ideale proseguimento di Pranzo di ferragosto, il regista ripropone i medesimi duetti surreali tra il protagonista e la sua stralunata madre, rinforza le sue ossessioni per l’arte culinaria, il vino bianco e gli squarci non turistici e convenzionali di Roma ma, rispetto alla pellicola precedente, imprime un ritmo più incalzante, dissemina qua e là delle scene condite da divertenti nonsense e, grazie all’ingresso in campo di Teresa e del suo smidollato fidanzato, introduce una ventata di freschezza e di gioventù.

Ma a ben vedere, forse, a Di Gregorio, più che narrare i pruriti sessuali di un sessantenne nell’era del Viagra, interessa proporre una garbata ed amara riflessione su quelle persone, giunte all’età della pensione, alle quali non resta altro che passeggiare in compagnia del proprio cagnolino al guinzaglio, sedersi fuori al bar o strasene in panchina, con la speranza di scambiare quattro chiacchiere con uno sconosciuto. Non so se il regista abbia letto o meno quel piccolo ma delizioso volume di Beppe Sebaste dal titolo Panchine (come uscire dal mondo senza uscirne) dove l’autore analizza il ruolo sociale della panchina, luogo considerato, per antonomasia, l’emblema dell’irreversibile declino di chi si sottrae alle regole non scritte della produttività e dell’efficienza. L’autore, a riguardo, acutamente, osserva: “Sedersi su una panchina significa diventare di colpo invisibili, stare in panchina, nel lessico attuale, è il contrario dello scendere in campo.”

Se sposiamo la sua tesi, non possiamo che essere grati a Di Gregorio per il coraggio, l’originalità  e la delicatezza con la quale ha narrato la solitudine di quelle persone (i pensionati) che non fanno più parte dell’ingranaggio lavorativo, escluse ed “invisibili”, di cui nessuno (Umberto D di Vittorio De Sica, escluso), neanche al cinema, se ne occupa(va) più. Nella speranza che la saga prosegua, va segnalata la simpatica ed accattivante colonna sonora, firmata da Ratchev e Carratello, che accompagna il film. Sugli scudi Di Gregorio e la svampita e simpaticissima Valeria de Franciscis Bendoni. Michelangelo Ciminale una piacevole sorpresa.

 

 

Recensione pubblicata su Segno Cinema - N. 167 Febbraio- Marzo  2011

 

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