Intervista a Roberto Faenza

 

 

Senatore:  Caro Roberto nei tuoi film erano già comparsi altri psicoterapeuti...Nel tuo primo film "Escalation"" c'era già una psicoterapeuta, poi compare un secondo psicoterapeuta in "Salvi chi vuole" che cura il figlio di un onorevole e poi c'è un piccolo accenno a Freud in "Sostiene Pereira"...Poi Jung e Sabina Sperlein... Tu mi dicevi prima di queste strane coincidenze...

 

Faenza:  Questo film (“Prendimi l’anima” N.d.R.) ha veramente delle strane coincidenze mandate non so da dove...Io ci tenevo molto a presentare questo un film a Napoli, perché è una città che amo molto...Poi sei comparso tu con la tua e-mail.. Questo film è fatto grazie a dei segnali "irrazionali"...Io ho iniziato ad occuparmi a questo film circa venti anni fa quando Carotenuto pubblicò il carteggio delle lettere e la cosa che mi stimolò ad iniziare questo progetto era che, in questo carteggio, erano palesi le ignobili censure della famiglia di Jung, che non ha mai voluto pubblicare le lettere, nella versione originale, e le mancanze e le lacune della corrispondenza. La cosa che mi ha stimolato di più non è stata tanto la vicenda che allora sortì un grande scandalo ma le assenze. Il rimprovero che muovo alla Società Psicoanalitica, nel suo insieme, è di non essersi interessata a Sabina; cioè loro si sono interessati per anni, hanno scritto migliaia di saggi, libri, ed hanno sempre lavorato sempre sul problema tecnico del "transfert-controtransfert", se era lecito, illecito... ma nessuno di loro si è peritato di andare oltre. Cos’era accaduto di questa ragazza? Mi ha stimolato molto il fatto che mancava la storia di Sabina...Ma di questa ragazza, poi, cosa è successo? Nessuno mai ha indagato su di lei. Ed ho cominciato, con la mia produttrice, a cercare di colmare queste lacune...Devo dire che per circa quindici anni non siamo riusciti a trovare nulla perché la Russia è un paese impenetrabile; gli archivi non esistono, non ci sono gli indici...non si può andare, non ti danno l'accesso, non si trova nulla...Poi abbiamo avuto la fortuna di incontrare uno storico che era l'unico che sapeva che esisteva una certa Sabina Spierlein (in Russia non sanno neanche chi é Sabina)...Grazie a lui abbiamo avuto un po' di informazioni ma sopratutto ho capito che per sapere qualcosa di Sabina l'unico modo era quello di indagare in una maniera "non ufficiale". In pratica ho dovuto comprare al "mercato nero" i documenti....E quindi quello che raccontiamo nel film è stato quello che abbiamo veramente fatto...Le due svolte sono state l'incontro con il bambino che è l'ultimo sopravvissuto dell'asilo, il quale, quando l'ho incontrato la prima volta era molto insospettito...Quando gli ho mostrato una foto di Sabina, poi piano piano ha iniziato a ricordare qualcosa. L'unica cosa che ricordava era una dottoressa a cui lui era molto legata perché lui aveva dei problemi...Poi è andato in cantina ed ha iniziato a tirare fuori documenti, lettere, le foto e mi ha raccontato quella che era la vera storia di Sabina, come era gestito questo asilo (non era una clinica psichiatrica come aveva scritto Bettlheim), mi ha raccontato i metodi, la musica, gli animali che lei portava e mi ha raccontato la vera storia di questo asilo. E poi la brutalità con cui questo asilo era stato chiuso, brutalità perché Stalin ha accusato l'asilo di "perversione sessuale" perché i bambini erano educati al "sesso"; in realtà l'asilo era stato chiuso perché l'obiettivo era quello di educare i bambini alla libertà.  L'altro elemento straordinario è stato che, mentre giravamo il film, è comparsa una certa Spierlein che mi ha cercato e che mi ha detto che stava facendo un'indagine su Sabina e sto cercando di capire se sono una parente di Sabina, ragazza che sta continuando questa ricerca...Nel film ho messo questo diario perché penso che prima o poi verrà fuori...    

Senatore: Hai detto che ti sei occupato di questa vicenda da venti anni. C'è stata qualche ragione in particolare per cui ti sei interessato a questa storia?

Faenza: Un giorno Jean Luc Godard ha intervistato un regista e gli ha detto: "Perché hai scelto questo film?" e lui gli rispose: "Non lo so" e Godard: "Neppure io". Quello che mi ha interessato veramente di questa storia sono state queste lacune...Ho sentito che mancava qualcosa. Mi è piaciuto fare un po' il detective di questa storia; scoprire quello che sentivo che c'era... Alcuni giornali hanno scritto delle cose senza senso, tipo: "Che mascalzone questo Jung"...Io ho pensato di dare a Jung una cornice irriverente. Mi è sembrato che Jung, come uomo di scienza, andasse raccontato invece come uomo che ha avuto un comportamento riprovevole nei confronti di questa ragazza. Perché se io ti raccontassi quello che lui ha scritto alla famiglia, ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli. E' veramente vergognoso se ti raccontassi le menzogne che per anni ha portato avanti con Freud, negando questa sua relazione, poi quando questa relazione stava venendo alla luce cominciando di ammetterla...; non sono questi i punti importanti. Ma quello che è importante è il capovolgimento dei ruoli che mi ha molto affascinato. Questa ragazza che arriva nell'ospedale praticamente in fin di vita, perché lei è stata sei anni prima in Svizzera e nessuno dei medici era riuscito a guarirla (la legano, le mettono delle correnti...). Inizia questa terapia nuova per lei e questo medico trasmette a lei questa fiducia che gli altri non gli hanno trasmesso; s’innamora di lui e lui corrisponde questa passione per lei e si capovolgono i ruoli. Lei guarisce e lui si ammala veramente e fa delle cose che solo un malato può fare...

 

 

Napoli il 18.1.2003

L'intervista completa é pubblicata su "Il cineforum del dottor Freud" di Ignazio Senatore - Centro Scientifico Editore.

 

Torna alla Homepage »