Elephant

di Gus Van Sant  con Alex Frost, Eric Deluen, Elias McConnell- - USA – 2003 - Durata 81' – V.M 14

 

In un liceo di Portland la vita scorre regolarmente; un paio di allieve spettegolano sui maschietti, un professore coordina un gruppo di riflessione contro l’omofobia, Elias (Elias McConnell) gironzola per il campus facendo delle foto, alcuni studenti nella sala della biblioteca sono immersi nella lettura, altri a mensa sgranocchiano qualcosa. D’improvviso è l’inferno. Per “divertirsi un po”, Eric (Eric Deluen) e Alex (Alex Frost), due ragazzi dal viso angelico, fanno irruzione nella scuola con dei fucili automatici, sparano all’impazzata e compiono una strage.

Un anno dopo Bowling a Columbine, l’agghiacciante documentario di Michael Moore, Gus Van Sant dirige questo film essenziale, freddo, duro e spietato che si ispira ai tragici fatti avvenuti nel 1999 nella Columbine High School. Con stile volutamente distaccato il regista americano s’affida a degli attori non professionisti e ci mostra Eric e Felix che, prima di compiere la carneficina, vedono dei documentari su Hitler e sul nazismo, strimpellano al piano Per Elisa di Beethoven e passano il tempo a smanettare con un videogiochi ed a sparare a delle sagome che sbucano all’improvviso sul piccolo schermo. In questo film a basso costo Gus Van Sant riduce al massimo i dialoghi, si affida a dei lunghissimi piani-sequenza e, camera a spalla, mostra più volte le stesse scene, in soggettiva, mescolando, sapientemente, la scansione temporale degli eventi. Ed è proprio in questa scelta, visiva, volutamente gelida, asettica e distaccata la straordinaria forza del film che ripete, come un mantra, le stesse scene arricchite, di volta in volta, da qualche piccolo particolare e ri-viste da un’altra angolazione. Il regista non spettacolarizza un evento realmente accaduto, non giudica, non condanna, non offre nessuna motivazione psicologica sul perché Eric ed Alex abbiano compiuto quel massacro ma li pedina con la mdp e si “limita” a mostrare la strage, immergendola in’atmosfera ovattata e quasi irreale. Il titolo allude alla parabola buddista dei ciechi che toccano le singole parti dell’elefante ma non riescono a risalire all’insieme dell’animale, alla tipica espressione che “è impossibile non poter vedere un elefante in salotto” e fa riferimento ad un documentario sulla violenza in una scuola irlandese diretto dall’inglese Alan Clarke. Palma d'oro come miglior film e regia a Cannes 2003.

 

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