Il dubbio di John Patrick Shanley

 

1964. St. Nicholas, una scuola cattolica del Bronx, è diretta con pugno di ferro da Aloysius Beauvier (Meryl Streep), una suora rigida e severa che ha fatto dell’ordine e della disciplina il suo unico credo. Brendan Flynn (Philip Seymour Hoffman) all’opposto, è un prete moderno che prova, timidamente, ad innovare i vetusti metodi d’insegnamento impartiti nella scuola. Una suora (Amy Adams), giovane ed ingenua, nota un particolare interesse di Brendan per Donald Miller (Joseph Forest) l’unico studente afroamericano accolto in quella scuola e lo riferisce alla direttrice che, senza indugi, nutrendosi, in maniera patologica delle proprie incrollabili convinzioni, si adopera per scoprire la verità.

Con il suo impeccabile acume, Roland Barthes, nel suo saggio “Miti d’oggi”, analizzando lo strip-tease, sottolineava come poggiasse su una contraddizione: “desessualizzare la donna nel momento in cui la si spoglia.” Queste riflessioni del famoso semeiologo francese mi sono saltate alla mente dopo la visione dello strombazzato film di John Patrick Shanley, che ha adattato cinematograficamente l’omonimo dramma teatrale, scritto di suo pugno e vincitore del Premio Pulitzer nel 2005.

Il regista s’affida ad un titolo estremamente evocativo e piuttosto che impaginare un thriller elettrico od un giallo ad orologeria, sin dalle prime battute, lascia presagire una battaglia senza esclusione di colpi tra l’indomita, acida ed algida Sorella Beauvier ed il tenebroso, panciuto ed impenetrabile Padre Brendan che  gioca con i ragazzi, sfumacchia qualche sigaretta, usa le penne biro (tanto invise alla direttrice) e senza celare un pizzico di edonismo, prende il the con tre zollette di zucchero.

La vicenda, girata totalmente tra le quattro mura della scuola, appare inizialmente intricante e, come avviene nello strip-tease, lascia presagire un graduale denudamento (dell’anima) dei personaggi. “I film respirano attraverso i loro difetti” dichiarava un tempo Francois Truffaut ma Shanley, dopo averci fatto immaginare un affilato e sottile scontro dialettico, senza esclusione di colpi,  tra i due contendenti, ci propone solo qualche scialba e timida scaramuccia tra Beauvier, novella Shelrock Holmes in gonnella ed il tormentato, inquieto ed imploso Brendan, accusato di aver molestato un ragazzino problematico e con un’incerta identità sessuale.  “Per prendere un topo ci vuole un gatto” afferma una suora nel corso del film ma, per tutta la durata del film, le trappole non scattano, le prove non saltano fuori e c’è il rischio che lo spettatore si schieri emotivamente dalla parte del (presunto?) prete pedofilo. La scrittura è visivamente molto controllata e l’unica scena che ti rimane dentro è quella che mostra un’anziana donna che sale sul tetto di una casa e, dopo aver squarciato un cuscino, lascia volteggiare le piume nell’aria. La pellicola ha ottenuto la candidatura agli Oscar 2009 per la miglior sceneggiatura non originale e per l'intero cast. Meryl Streep caratterizza però il personaggio di suor Beauvier con troppe mossettine, Philip Seymour Hoffman ed Amy Adams se la cavano con un po’ di mestiere ma la vera rivelazione è Viola Davis, una spanna sopra tutti, nel ruolo della madre dello sfortunato Miller. Nonostante l’ottimo cast, l’argomento torbido, l’ambientazione melanconica ed autunnale ed i fantasmi che s’aggirano sullo sfondo legati all’uccisione di J.F. Kennedy, la vicenda non strappa gli applausi e, con lo scorrere dei fotogrammi, l’idea che Shanley abbia gettato alle ortiche una grande occasione più che un dubbio diviene una certezza. Del resto che dire di un film che verrà ricordato solo per le abbaglianti e poetiche metafore proposte, nei suoi sermoni, da un prete?

 

Recensione pubblicata sulla Rivista Segno Cinema - Numero 156 - Marzo- Aprile - 2009

 

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