Le chiavi di casa di Gianni Amelio - 2004

 

Georges de La Tour, pittore del 600, amava ritrarre, con sguardo partecipe ed incantato, popolane e contadine. Nella vita privata era, invece, un latifondista, arrogante e senza scrupoli, che malversava i suoi coloni.

Michelangelo Merisi da Caravaggio amava dipingere i popolani con cui s’ubriacava e faceva a botte e li immortalava all’interno di straordinari giochi d’ombra e di luce. Opportunismo di maniera nel primo caso; coerenza nel secondo.

Amelio, in ogni suo film, ha trattato della sofferenza umana e le sue scelte sono sempre state sincere, accorate e mai orientate alla legge dell’incasso e del botteghino. La vicenda del suo ultimo film “Le chiavi di casa”, liberamente tratto dal romanzo “Nati due volte” di Giuseppe Pontiggia, narra di Giovanni (Kim Rossi Stuart) un padre che decide di rivedere per la prima volta, quindici anni dopo la nascita, Paolo (Andrea Rossi) suo figlio disabile.

Tanto è il dolore che la storia evoca che si è spinti, difensivamente, a prendere le distanze dai due protagonisti. Man mano, però, la vicenda ti avvolge, ti com-muove e ti lacera le carni ed il cuore. L’ingresso in scena di Charlotte Rampling, madre inconsolata di un’altra ragazza disabile, illuminerà di colpo la scena. Film sull’imbarazzo e sulla vergogna dei padri a mostrarsi in pubblico  con il proprio figlio disabile e sul “lavoro sporco” e silenzioso che, in loro vece, compiono le madri. Incancellabile la scena di Paolo che lotta e che non molla, in un’asettica palestra di riabilitazione dell’ospedale dove è ricoverato. Giovanni, riferendosi alla Norvegia, dice a suo figlio Paolo: “Ti porto in un posto che hai visto e dove non sei mai stato”. Il luogo dove Amelio ci porta si chiama, invece, “sofferenza” e (forse) al cinema nessuno è riuscito a farcela vedere “dal di dentro” come ha fatto lui.

Amelio, senza mai scivolare nel pietismo e nella compassione, confeziona una storia che obbliga a fare i conti con le proprie emozioni. Film che merita “rispetto” per lo stile con il  quale è stato girato e per l’assoluta onestà d’intenti del regista e degli sceneggiatori. Altro che Georges de la Tour.

 

 Recensione pubblicata su L'Articolo- Redazione napoletana del "L'Unità" - 2-10-2004

 

 

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