I cento passi di Marco Tullio Giordana- 2000

 

A Cinisi, paesino a pochi chilometri da Palermo, il mafioso Don Cesare Manzella (Pippo Montalbano) fa il bello e cattivo tempo, gestendo intrighi ed affari.. L’unica voce contro è quella di Stefano Venuti (Andrea Tidona), il segretario di partito della sezione del PCI che, invano, prova a scuotere i concittadini. Passano gli anni e la mafia ha messo le mani sulla costruzione dell'aeroporto di Punta Raisi. Don Cesare salta in aria per mano della mafia ed in città Tano Badalamemti (Tony Sperandeo) diviene il Mammasantissima. Peppino Impastato (Luigi Lo Cascio), diventato maggiorenne, inizia a frequentare la sezione del PCI, divora libri, accusa Venuti di essere troppo arrendevole e cauto nei confronti della mafia, scrive sul giornale Idea socialista articoli di fuoco contro Mafiopoli, accusando Tano (soprannominato con sarcasmo ed ironia Tano seduto) di gestire gli appalti ed il traffico di droga in Sicilia, dà vita ad un cineforum e fonda Radio Aut, una radio indipendente. Invano il padre Luigi (Luigi Maria Burruano), parente dei boss locali, gli suggerisce di non sfidare il potere mafioso e, come estremo tentativo, lo caccia di casa. Ma Peppino non molla e Luigi, avendo fallito nel suo intento, è assassinato dalla mafia. Peppino decide di candidarsi all’elezioni nelle liste di Democrazia Proletaria. Il 9 maggio del 1978, giorno in cui veniva ritrovato il corpo di Aldo Moro, Peppino è massacrato dalla mafia che prova a far passare la sua morte per un suicidio.

Giordana dirige un film d’impegno civile, pluripremiato ed osannato dalla critica militante, che mette al centro della narrazione il coraggioso protagonista che, petto in fuori, sfida a viso aperto la tentacolare organizzazione mafiosa. Il regista cita Le mani sulla città di Francesco Rosi ma, a ben vedere, più che dirigere un film “di/contro/sulla mafia” punta soprattutto sul rapporto conflittuale tra il vulcanico ed esuberante Peppino ed il padre, un uomo abituato a chinare la testa di fronte alla mafia e che si ostina a non comprendere perché il figlio, che da bambino recitava le poesie ai boss giunti dall’America, si ribella e si batte contro la mafia. Sin dalle prime battute, Luigi, preoccupato per la scelta politica del figlio, cerca di proteggerlo e prova a convincerlo ad andare via dal paese.  La madre, dal canto suo, per evitare che la scure della mafia s’abbatta su di lui, compra tutte le copie del giornale su cui scrive i suoi corrosivi articoli ed il padre prova, inutilmente,.

Fedele ad una concezione del mondo dove tutti devono sentirsi liberi e non sottomettersi ed essere conniventi ed omertosi con il potere mafioso, in una delle scene cardine del film, Peppino invita il fratello minore Giovanni (Paolo Briguglia) a contare i passi (cento) che dividono casa loro da quella di Tano e di notte, giunto di fronte all’abitazione del boss, urla a squarciagola il proprio disprezzo contro il potere  mafioso. Dopo aver preso le distanze dal padre, un uomo che, secondo lui, non ha dignità perché, umiliandosi, accetta passivamente lo strapotere mafioso, Peppino alza sempre più il tiro. Luigi, convocato dai boss mafiosi, suoi parenti, sempre più intolleranti ed insofferenti, comprende che è l’ultimo avvertimento e, rientrato a casa, dopo aver sferrato un pugno allo stomaco di Peppino, tra le lacrime, gli chiede, invano, di sottomettersi, al potere paterno.

Il film, seppur non esente da un pizzico di retorica, è attraversato da momenti di rara poesia. Ottima la colonna sonora con l’indimenticabile “A whiter shade of pale” dei Procol Harum. Luigi Lo Cascio, Burruano e Sperandeo sugli scudi.

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