Intervista a
Giuseppe Bertolucci
Il cinema è fatto
di lacrime che rigano il viso, di languidi sospiri, di corpi che si muovono
sinuosi sullo schermo, di facce dure, appuntite, spigolose, buffe ed irregolari.
Ma anche di cognomi importanti e di intere famiglie (Chaplin, De Sica,
Rossellini, Fonda…) che hanno fatto la storia del cinema. Quella dei Bertolucci
è una di quelle che, nel pronunciarla, l’emozione, ti fa tremare i polsi.
Giuseppe, fratello del mitico Bernardo e figlio del grande poeta Attilio, ospite
di “FilmIdea” si è dato volentieri “in pasto” agli studenti del Campus di
Fisciano, discorrendo con loro di cinema e dintorni.
Cosa ne pensa di questa nuova
generazione di fruitori di cinema?
“Mi incuriosisce perché è una
generazione che fatico a capire, ma ho il dubbio che questo abbia a che fare con
le mie proiezioni di quando avevo venti anni. Confesso che non so cosa li
appassiona, quali i loro valori. Se ci si pensa, questa è la prima generazione
nata e cresciuta dentro la bolla dei media e dei telefonini… L’oggetto libro
credo, sia quasi del tutto scomparso, anche perché loro studiano in Rete. Tutto
questo mi affascina, ma contemporaneamente, mi inquieta. Comunque non è la prima
volta che mi trovo di fronte a degli studenti. A Bologna avevo già tenuto un
corso che avevo intitolato, non a caso, “In cerca della regia”.
In tutta la filmografia di suo fratello
Bernardo, il tema del padre è forse il filo conduttore. Quale potrebbe essere il
suo?
“Ho lavorato sia sul comico, basti
pensare al “Berlinguer ti voglio bene” con Benigni, che sul tragico, sia nella
finzione che nel documentario, nei film antropologici che a teatro. Il tema che
ho più frequentato, credo, sia quello dell’universo femminile, ma posso dire che
mi ha molto interessato anche la sperimentazione dei sentieri laterali, spesso
poco frequentati al cinema. C’è, però, un collante che tiene uniti tutti i miei
film, anche quelli che possono sembrare i più anomali. Ad esempio “Troppo sole”
è un film molto estremo, fatto con una sola attrice (Sabrina Guzzanti) ed è
stato quello un grande sforzo registico, lavorare con un corpo solo che si
trasformava in mille personaggi. “Cammelli”, invece, non era assolutamente una
commedia convenzionale. Sentivo molto, al tempo, la volontà di sperimentare cose
diverse. ”L’amore probabilmente” era un film “felice” ma di nicchia, nato come
un TV movie che poi è diventato un film per le sale. All’opposto “Strana la
vita”, film con Diego Abbatantuono, Monica Guerritore ed Amanda Sandrelli,
è
stata una pellicola stroncata dai critici e non ha riscosso il favore del
pubblico. Il film, tratto da un romanzo, non so perché, era nato sotto una
cattiva stella, anche perché ho avuto dei difficili rapporti con l’autore. Ho
fatto, poi, la regia televisiva di uno spettacolo di Luca Ronconi, tratto da
“Quel passticciacico di Via Nerulana” di Gadda, perché mi interessava cimentarmi
con la regia di una regia. Che dire, dei miei film? Non ne ho mai fatto uno di
successo....”
Per l'intervista completa si rimanda al volume "Psycho cult" di Ignazio Senatore (Centro Scientifico Editore-2006)