L’amore buio

 Amo il cinema che non mi lascia in pace”. Affermava qualche anno fa proditoriamente Erri De Luca. Questa sua lapidaria dichiarazione descrive, a mio avviso, perfettamente, il cinema di Antonio Capuano, regista napoletano doc, autore di “Vito e gli altri”, fulminante film d’esordio, dello “scandaloso” “Pianese Nunzio 14 anni a maggio”, del surreale “Polvere di Napoli”, del tellurico “Luna rossa” e del poetico “La guerra di Mario”.Il 2 settembre alla prossima Mostra del Cinema di Venezia verrà presentata nell’ambito delle prestigiose “Giornate degli Autori”, “L’amore al buio”, la sua attesissima pellicola che sarà nelle sale cinematografiche il giorno successivo. Al fianco dei due giovani protagonisti esordienti (Gabriele Agrio ed Irene De Angelis), un cast d’eccezione: Valeria Golino, Fabrizio Gifuni, Luisa Ranieri, Anna Ammirati e Corso Salani, nella sua ultima apparizione. La vicenda narra di uno stupro di gruppo da parte di alcuni adolescenti ai danni di una quattordicenne e del successivo amore tra lei e Ciro, uno dei violentatori, suo coetaneo, che si costituisce immediatamente, denuncia i componenti del branco e li manda in carcere. “E’ un amore, afferma Capuano, che si muove nel buio, come recita il titolo del film.. E’ nascosto, vietato, quasi sotterraneo, che si nutre della stessa paura che attanaglia i protagonisti, combattuti all’idea di poterlo confidare a loro stessi. Il loro primo contatto è stato brutale, violento, cattivo, selvaggio. Ciro, sottoproletario della periferia napoletana, prima di allora non aveva mai avuto dei rapporti sessuali con una donna e da quel momento in poi non smette di pensare a lei. La ragazza, cresciuta in una famiglia ricca e borghese, si perde, un giorno, sotto la pioggia, nei vicoli della città, scopre una Napoli a lei totalmente sconosciuta e cambia. Le loro storie finiranno, inevitabilmente, per intrecciarsi” Fedele all’idea di un cinema “malato”, spiazzante e volutamente “imperfetto”, con questa pellicola Capuano sembra nuovamente scorticare, scuotere e graffiare l’anima dello spettatore. Dopo aver preso le distanze dalle pellicole italiane precedentemente prodotte sul tema (“Il branco” di Marco Risi, “Cronaca di un amore violato” di Giacomo Battiato), scartate le fascinazioni legate alla “Sindrome di Stoccolma”, il regista sottolinea come nel suo film vi siano diversi i punti di svolta ed alcune sorprese, come l’ingresso in scena di Don Luigi Merola e di Silvio Perrella che incontrano i giovani detenuti di Nisida.

“E’una storia vera che mi era stata raccontata quindici anni fa, prosegue Capuano, e che nessuno voleva produrlo. Ci sono tanti registi di talento nel cinema italiano ma mancano i giovani produttori che non vogliono rischiare, convinti che chi va al cinema vuole solo ridere. Non a caso, a produrre il mio film è Gianni Minervini, un ottantatreenne. “L’amore buio” l’ho ambientato a Napoli, una città che amo e che nei cui confronti mi sento come Unrat, il protagonista de “L’angelo azzurro”, l’anziano professore che s’innamora perdutamente di Lola Lola, una prostituta. Di Napoli amo tutto anche perché non è avara con me e non è vero che non mi concede niente. Paolo Sorrentino che non vive più nella nostra città, un giorno mi disse. “Quando stavo a Napoli, ridevo”.

 

 Stralcio dall’articolo pubblicato su Il Corriere del Mezzogiorno – 1-09-2010

 

 Torna alla Homepage »