"I disturbi del comportamento alimentare  Clinica, interpretazioni e
interventi a confronto "

(a cura di I. Senatore)


Franco Angeli- 2013

 

PARTE PRIMA

 

I DCA tra cultura, tradizione e società

 1) Andando a ritroso nel tempo possiamo trovare nella mitologia delle storie che descrivono dei veri e propri disturbi del comportamento alimentare?

 Senatore: La mitologia é ricca di numerosi riferimenti che rimandano al cibo. Che dire di Cynara, la bella fanciulla che osò rifiutare la corte di Zeus che fu da questi trasformata, per punizione, in un carciofo o di Artemide che fu mutata da Dioniso in un noce? Ma la mitologia è anche ricca di comportamenti alimentari, a dir poco patologici; Crono divora i figli, Zeus ingoia la moglie Metis, Dioniso mangiato dai Titani, Tantalo che dà in pasto agli dei il figlio Pelope e, punito per aver assaggiato l’ambrosia, il cibo destinato agli dei, è gettato nell’Ade; legato ad un albero ricolmo di frutti in mezzo ad un lago, ogni qual volta provava a bere, il lago si asciugava e quando provava a prendere un frutto, i rami s’allontanavano. Per quanto attiene più nello specifico a dei disturbi DCA, messe da parte la proverbiale polifagia di Ercole, credo che le storie di Fedra e di Persefone siano tra le più indicative e possano essere inscritte, in qualche modo, nell'ambito della patologia anoressica. Euripide (1) narra che Fedra, figlia di Minosse e Pasifae, s’era innamorata perdutamente del casto Ippolito, il figlio che suo marito Teseo, re di Atene, aveva avuto dal precedente matrimonio con Antiope la regina delle Amazzoni. Fedra si strugge in silenzio ma, giorno dopo giorno, cade in depressione fino a non alimentarsi più. Temendo che si lasci morire, la nutrice rivela ad Ippolito la passione che sta struggendo la sua padrona. Ippolito reagisce sdegnato e Fedra, per vendetta, prima di impiccarsi, in uno scritto, lo accusa, ingiustamente, di aver abusato di lei. Ippolito fugge e Teseo, adirato, chiede al padre Nettuno di uccidere il figlio. Il dio del mare allora fa imbizzarrire i cavalli del carro di Ippolito che, perdute le redini, muore, infrangendosi sugli scogli. Persefone (2), figlia di Demetra e di Zeus, era una fanciulla vergine che, negando la propria sessualità, preferiva raccogliere fiori e giocare con le amiche. Rapita da Ade, dio dell'oltretomba ed ancora fanciulla, contro la sua volontà, divenne la sua sposa. Trascinata negli Inferi le venne offerta della frutta ed ella mangiò senza appetito solo sei semi di melograno. Persefone ignorava però il trucco di Ade: chi mangiava i frutti degli inferi era costretto a rimanervi per l'eternità. La madre, dea dell'agricoltura, che garantiva la fertilità delle terre, adirata, bloccò la crescita delle messi e rese la terra infertile. Zeus intervenne; Persefone, che non aveva mangiato un frutto intero, sarebbe allora rimasta nell'oltretomba solo per un numero di mesi equivalente al numero di semi da lei mangiati ed avrebbe trascorso così sei mesi con Ade negli inferi e sei mesi con la madre sulla terra. E se la vicenda di Fedra ci ricorda come la deriva depressiva possa indurre una donna a non alimentarsi più, quella di Persefone descrive alla perfezione il legame tra rifiuto del cibo e quello della sessualità.

2) Prima di diventare uno dei segni più evidenti di un comportamento DCA, il digiuno è stata una pratica d’appannaggio dei filosofi e fortemente suggerita dai Padri della Chiesa. Credi ci siano delle correlazioni tra il digiuno legato alle “sante anoressiche” del Medioevo e quello praticato dalle pazienti anoressiche dei nostri giorni?

Senatore: Nel Fedone (1) Socrate afferma che un vero filosofo non può curarsi di piaceri del mangiare e del bere. Un vero filosofo, infatti, deve sapersi astenersi dalle leccornie e moderarsi nel bere, senza vantarsi della propria condotta.  Lucio Anneo Seneca (2) sostiene che le pietanze ricche e gustose non sono salutari e “da quando si sono inventati i condimenti per eccitare l’ingordigia, lo stomaco si è guastato, l’organismo si è riempito di umori malsani, il sistema nervoso è diventato instabile e debilitato e la medicina ha assunto crescente complessità”. Secondo il filosofo romano le pietanze complesse, oltre ad indebolire il corpo, sarebbero dunque dannose per l’anima ed avrebbero generato i vizi. Per Plauto la gola è la generatrice delle liti, per Boezio la madre dell'ignoranza, per Seneca la fomentatrice di tutti i mali, per Sofocle nemica della castità, per Plutarco, l'officina dei vizi, infine, per San Girolamo e i Padri della Chiesa, la gola è la porta d'entrata della lussuria e la fame ed il digiuno é il miglior scudo dell'animo casto. Questi riferimenti così insistiti al cibo come cedimento voluttuoso della carne ed al digiuno come pratica mistica che avvicinava a Dio, hanno trovato  la massima espressione tra il Trecento e il Quattrocento e numerosi studiosi (3), (4), (5) hanno sottolineato i complessi rapporti tra digiuno, ascetismo, misticismo e santità. Come ricordano Santonastaso e Favaretto (6) “il cristianesimo medioevale era dominato dal disprezzo per il corpo “abominevole rivestimento dell’anima”. (...) La magrezza fisica, in quanto aspetto del corpo purificato costituiva  un requisito indispensabile nel cammino verso la santità.” Per Elisabeth Abbott (7) "Santa Caterina si sostentava quasi unicamente con l'ostia della comunione, mandando giù solo un po' di acqua fredda e masticando erbe amare che poi sputava. Era raro che mangiasse qualcosa: il cibo la faceva letteralmente star male, causandole convulsioni allo stomaco atrofizzato e dolori. La tecnica mastica-e-sputa di Caterina qualche volta falliva, e succedeva che un boccone, un singolo fagiolo magari, le scendesse nello stomaco. Allora, qualunque cosa avesse mangiato, la vomitava. Comunque non era capace di provocarsi il vomito volontariamente e sviluppò quindi la dolorosa abitudine di introdursi nello stomaco steli di finocchio o di altre piante per ottenere le necessarie contrazioni.” Nonostante diversi autori (3,4,5) abbiamo cercato dei punti di contatto tra le sante Medioevali e  le pazienti anoressiche che giungono alla nostra osservazione, le differenze tra loro appaiono nette ed evidenti. Santa Caterina e le altre "sante anoressiche" utilizzavano il digiuno come strumento di mortificazione della carne e come mezzo di purificazione per sentirsi più vicino a Dio. Nel Medioevo l’ideale mistico-religioso  era socialmente condiviso ed il digiuno che le giovani sante anoressiche mettevano in atto suscitava nei contemporanei ammirazione ed approvazione. La scelta anoressica delle nostre pazienti va inscritta, invece, in una matrice assolutamente laica e risponde primariamente al bisogno di voler diventare magre ed ossute per poter cancellare un corpo che rimanda ad una femminilità ed a una maternità che é per loro fonte di ansia e di angoscia Sbaglia però chi ritiene che l'ideale della donna magra ed efebica sia comparso all'orizzonte solo sul finire degli anno Ottanta. Come ricorda Lars Fr. H. Svendsen (8) “negli Anni Venti la moda si collocò sullo stesso piano della scultura e dell’architettura in quanto a “modernità”. La moda femminile degli abiti diritti e dei seni piatti era in perfetta sintonia con la distribuzione delle linee e delle superfici dell’arte cubista che si produceva per mano di Legèr e di Braque. Era uno stile che bandiva l’ornamento a vantaggio della cultura della forma.”

3) Sin dalle origini la  letteratura è ricca di riferimenti alle cibo. Basti pensare ai pranzi luculliani citati da Petronio Arbitrio nel Satyricon, alle abbuffate descritte in Gargantua e Pantagruel di Francois Rabelais fino alle protagoniste super-grassone di Galatea di James.M. Cain e di Buon compleanno Mr. Grape di Peter Hedges. Quale opera letteraria ritieni abbia, all’opposto, descritto un chiaro disturbo del comportamento alimentare di stampo anoressico?

 Senatore: Messi da parte Arkadij, il protagonista de L’adolescente di Dostoevskij (1) che digiuna con il fine di dimostrare la propria volontà di potenza, tra i numerosi romanzi e scritti che costeggiano il vastissimo tema dei disturbi dell’alimentazione  quello che descrive con affilata precisione l’universo anoressico è Un digiunatore di Franz Kafka (2), scritto nel 1922. In questo straordinario racconto lo scrittore praghese narra di un uomo, (al quale non attribuisce né nome, né cognome), divorato dall’incoercibile bisogno di voler digiunare. L'ossessione del protgonista del racconto era tale che, a furia di digiunare, era divenuto la principale attrazione di un circo e mostrato come un fenomeno da baraccone, in una gabbia al centro della pista. Per accrescere ancora di più la curiosità degli spettatori, alcuni guardiani, su ordine del padrone del circo, erano preposti a sorvegliarlo ed a impedirgli che potesse nutrirsi di nascosto. Una precauzione inutile, questa, adottata solo per rendere ancora più affascinante e misterioso quel singolare personaggio che, non solo non aveva alcuna intenzione di assumere del cibo ma che, all’opposto, attratto dall’idea di voler digiunare, provava, invano, a ribellarsi alla decisione del proprietario del circo che, allo scadere dei quaranta giorni, lo costringeva a mangiare di fronte ad una folla osannante. Dopo essere stato per tanti anni la stella del circo, un bel giorno, inspiegabilmente, il pubblico aveva perso interesse per lui..Caduto nel dimenticatoio era stato relegato con la sua gabbia in vicinanza alle stalle dove un giorno era morto lontano dai clamori della folla. In questo breve racconto Kafka ci descrive la cieca disperazione dello stenico ed incoercibile protagonista che, solo sul finale, in risposta al custode che gli chiede perché non può smettere di digiunare, risponde: “Perché non riuscivo a trovare il cibo che mi piacesse. Se l’avessi trovato non avrei fatto tante storie ed avrei mangiato a quattro palmenti come te e gli altri”. Meno poetico del precedente è il recente “La solitudine dei numeri primi” (3) che ruota intorno ad Alice, una ragazza anoressica abituata a mettere in atto delle condotte di eliminazione ed in grado di pesare gli alimenti con lo sguardo e di selezionare le sue trecento calorie per la cena. Con maestria Giordano descrive le modalità con le quali la protagonista del romanzo mette in atto le condotte eliminatorie ed illustra come Alice, mangiando con la mano destra poggiata sul tovagliolo, dopo aver recintato, strategicamente, il proprio piatto con il bicchiere del vino e dell’acqua, con il contenitore del sale e dall’oliera, non appena i suoi si distraggono, spinge il cibo già sminuzzato fuori dal piatto, dentro il tovagliolo. 

4. Quali poesie possiamo prendere a prestito per descrivere l'universo DCA? 

Senatore: Costeggiando la produzione letterearia di questi secoli numerosisime potrebbero essere le poesie che, seppur non affrontando tout-court il tema dei DCA, potrebbero essere prese a prestito per descrivere la fragilità emotiva, lo sbandamento, il senso di vuoto e di spaesamento che attangalia le pazienti che giungono alla nostra osservaizone. Tra le tante vorrei citare, innanzitutto “I piaceri della porta" (1) “I re non toccano le porte./ Non conoscono questa felicità./spingere davanti a sé con dolcezza o bruscamente/ uno di quei grandi pannelli familiari/ voltarsi verso di esso per rimetterlo a posto, tenere fra le braccia una porta/ La felicità di impugnare al ventre/ per il suo nodo di porcellana/ uno di quegli alti ostacoli di una stanza; quel corpo a corpo rapido con il quale per un istante trattenuto il passo/ l’occhio si apre e il corpo intero/ si accomoda al suo nuovo appartamento/ Con una mano amichevole la trattiene ancora/ prima di respingerla decisamente e di rinchiudersi, così di cui lo scatto della molla potente/ ma ben oliata lo assicura piacevolmente." In questa poesia Ponge descrive quel piacere tattile legato allla possibilità di aprire la porta, negato al sovrano, che può essee letto come una metafora più ampia dell'inerzia e dell'analfabetismo emotivo, tipico delle pazienti DCA,  incapaci di entrare in contatto non solo con il proprio mondo interiore ma anche con quello dele relazioni interpersonali. Su questa scia mi sembra possa inserirsi anche la struggente poesia “Eppure non basta” che testimonia quel profondo sentimento di angoscia e di insoddisfazione che non premette a queste adolescenti di poter affacciarsi alla vita e goderne i frutti ma di sentirsi, all'opposto, spettatrici  di un mondo di cui vorrebbero far parte ma di cui si sentono messe a parte.“E' fuggita l'estate/ E nulla rimane/ Si sta bene al sole/ Ma questo non basta. Quel che poteva essere/ una foglia dalle cinque punte/ si è posata sulla mia mano/ eppure questo no, non basta./ Né il bene, né il male/ sono passati invano/ Tutto era chiaro e luminoso/ Ma tutto questo non basta  La vita mi prendeva sotto l'ala,/ mi proteggeva, mi sollevava/ ero davvero fortunato/ eppure questo non basta....

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